È più importante amare o essere amati?

Questo uno dei temi più rilevanti nelle relazioni umane. Amori non corrisposti, perduti, amori impossibili e amori ritrovati cos’hanno in comune? Spesso un alternarsi tra chi ama troppo, e chi non ama affatto.

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Apollo e Dafne

L’amore è un lepido alternarsi tra chi mirato fugge e chi fuggendo mira”, così scriveva Leopardi, maestro del sentire.

Nelle relazioni, di qualunque genere, si badi, non che l’amore sia materia solo d’amanti, vi dovrebbe essere un principio ineluttabile, la libertà. Solo in essa l’uomo è capace di amare incondizionatamente, senza filtri, preoccupazioni, maschere. Ma la libertà è veramente possibile, quando, in realtà, un rapporto deve essere prima di tutto definito con le parole?

Il linguaggio diventa quindi sia creatore che distruttore di quello spazio in cui l’uomo può veramente amare. Come si può essere capaci di amare incondizionatamente, se si è guidati da linguaggi stereotipati come “un vero amico farebbe…”, “se mi ami dovresti…”. Eppure, vi è un principio che è sopra l’amore, che costringe qualunque essere a vagare per il mondo, prima con l’intraprendenza dei giovani, poi con la stanchezza degli uomini: il desiderio di certezza. Impossibile da eliminare si rivela essere l’unico vero ostacolo all’amore libero. Perché l’uomo da sempre cerca senso in ciò che sente, e fa. Allora perché ostinarsi ad amare di un amore a fondo perduto? Davvero non si avrà niente in cambio? Ecco che subito si necessiterà di definizioni per saldare, per unire, per dare un senso a questo enorme sentire.

Ci ricorderemo allora delle parole di Massimo Recalcati, quando affermava sull’onda della psicologia classica, che i segni dell’amore altro non sono che il desiderio umano di trasformare il caso in destino. Il senso, il desiderio di scopo, quindi, sono nemici dell’amore: solo “Iddio” non conoscerà mai il significato di do ut des, mentre sarebbe difficile affermare il contrario per l’uomo nel suo rapporto con il Divino.

Dunque, qual è il significato di tutto? Niente, zero. Se cercate la risposta nelle stelle, magari ve ne cadrà una in testa. La partita non si gioca fuori di voi, si gioca dentro di voi, sempre. Perché amare liberamente si può, ma ad un prezzo altissimo, uno solo: l’integrità personale. La sicurezza non nel rapporto con l’altro, ma la sicurezza nel rapporto con sé stessi. Non è forse insicurezza verso sé stessi chiedere di essere amati? Non è forse una paranoia quella di certificare se l’altro veda quanto noi amiamo? E non è senz’altro vero, che qualunque cosa accada in amore non si ha scelta che ringraziare il cielo, per via dei troppi, inutili e depistanti segni che per caso, o necessità, si sono lasciati dietro?

Se questa partita si vince, il premio non solo è assicurato con il plauso del pubblico, ma i benefici. Quali sono i benefici dell’integrità? Non fosse altro l’incredibile capacità di accettare l’altro per come è, perché non si ha più bisogno che sia come noi vorremmo. E attraverso ciò, amare curando le sue debolezze, comprendendo che, in fondo, sono le stesse che abbiamo noi.

Romano Favetta

Il suo ufficio sta effettuando lavori molto importanti, l’urbanistica e la viabilità di Velletri stanno per cambiare radicalmente (mi riferisco alla rotonda di Santa Maria dell’Orto). Ci spiega come sono state prese queste decisioni?

L’idea nasce da molte esigenze cittadine. In primis, quel nodo stradale è importantissimo, nonché molto pericoloso, infatti la media degli incidenti era notevole. L’accordo di costruzione, il piano, i vari permessi sono stati ottenuti quando, su compromesso concordato con il sindaco Pocci, il gruppo MD S.p.A. ha scelto di far nascere un suo supermercato accanto alla rotonda. Infatti, Pocci si impose categoricamente dicendo che se la rotonda non fosse stata realizzata, il supermercato non sarebbe stato costruito. Un accordo andato a buon fine, come si evince dallo stato finale dei lavori. Aspetto rilevante di questa fattispecie è che i soldi pubblici non sono stati utilizzati: il privato si è fatto carico di tutte le spese, che supponiamo siano intorno ai 700.000 euro.

I cittadini di Velletri potrebbero lamentare che questa stia diventando la “città dei supermercati”, infondo, anche l’ex sede Co.Pro.Vi diventerà un supermercato,  lei cosa pensa?

Noi siamo a favore dello sviluppo della città; nei limiti e nelle permissività della Legge, che di fatto, ammette queste attività e scelte, noi non possiamo opporci, non ne abbiamo il diritto. Mi spiego meglio. C’è un piano regolatore che determina le destinazioni di aree urbane. Quella sede fu acquistata già da tempo da un privato, che evidentemente ne rispetta la destinazione, facendone una sede CONAD.

Aggiungo, vista l’occasione, rivolto a coloro che polemizzano sull’apertura di centri che ostacolino il ritorno in auge del centro storico, che, a mio parere, l’apertura di questi colossi commerciali risponde in modo adeguato alla creazione di posti di lavoro e attività. Ma, comunque sia, se qualcuno avesse una soluzione migliore, noi siamo disponibili all’ascolto. In merito all’apertura, da parte di un privato, di un supermercato all’ex sede Co.Pro.Vi, specifico che quello stesso privato si caricherà le spese di una modifica stradale che permetterà lo snellimento del traffico, rendendo via del Campo Sportivo a senso unico.

Mi aggancio ad una sua espressione per cambiare argomento. Poco fa ha detto “siamo disponibili al dialogo”, lei pensa che l’uscita di Servadio verso l’amministrazione dia spazio al dialogo?

Io credo sia stata un’uscita inopportuna. Insieme a lui abbiamo fatto molti progetti, io in primis avrei accettato delle critiche; avremmo ascoltato e poi agito.  L’opposizione a volte esagera nel criticare la maggioranza, dimenticandosi del gioco di squadra. Io ci metto la faccia e accetto le critiche costruttive, ben vengano tutte le idee possibili.

Le faccio una domanda scomoda, lei è l’unico che Servadio “forse” salverebbe nel mandare tutta l’amministrazione a casa, ne intuisce la ragione?

Mi sono sentito offeso, perché non ci si può rivolgere in questo modo all’amministrazione comunale. Tra l’altro, quando è stato lui stesso a scegliere tali persone! Avrebbe fatto meglio a non esporsi così, e noi aspettiamo ancora le sue scuse. Siamo disposti ad un dialogo e ad un confronto. Ma quando si strumentalizzano certe uscite la questione diventa inaccettabile. Noi non abbiamo mai chiuso le porte, siamo ancora disposti a chiarire la questione. Ad esempio, riguardo il progetto di Santa Maria dell’Orto, che lui si è attribuito affermando fosse “già pronto” al nostro insediamento, bisogna precisare che all’epoca, forse Servadio l’ha dimenticato, l’assessore all’urbanistica era Pocci. Quindi l’ingranaggio di costanza, idee comuni e collaborazione non si è mai fermato. Noi al nostro ex Sindaco rimproveriamo il modo con cui ci si è rivolto. Perché amministrare è un lavoro di squadra. Noi ci confrontiamo e lo facciamo nel rispetto dei cittadini.

Naturalmente la situazione critica in cui versa il nostro paese è molto grave. Ci sa dire come il virus e le conseguenze della pandemia hanno influenzato il suo modo di lavorare?

Ci ha rallentato moltissimo. Di fatti, la critica di Servadio nei confronti dello stato di via Lata, sembrerebbe giustificabile se fossimo in condizioni normali. Ma tra il virus e i ritardi burocratici abbiamo perso molto tempo. La modalità smart-working ha creato ritardi e imprecisioni. C’è tanta tensione, perché sappiamo ci sarà una ricaduta e non sappiamo come muoverci. È difficile perché la burocrazia rallenta e ostacola, a volte. Noi ce la metteremo tutta ma i tempi sono diversi da come ci siamo abituati fin ora. I propositi ci sono, e anche tanta buona volontà. La politica e le esperienze di gestione sono complesse e richiedono tempi che il comune cittadino non conosce. Si dovrebbe prima capire le criticità e le procedure, poi azzardare giudizi generali sull’amministrazione. È altresì giusto che i cittadini partecipino ad esporre le problematiche. Io partecipo attivamente sui social perché mi permettono di dar voce ad ogni cittadino, velocizzano la conoscenza di un problema. Un loro uso sbagliato sarebbe quello di lamentarsi e offendere. In merito però a recenti sviluppi, colgo l’occasione per aggiornare i cittadini su due faccende importanti. Vi era in attivo un contenzioso con il gestore del gas della città che finalmente è arrivato ad un compromesso. Sono quindi in arrivo due milioni di euro in due anni, che potranno essere utilizzati per ogni esigenza della città, come il commercio e la viabilità stradale. Tale accordo porterà ad un investimento voluto dal sottoscritto: oltre seichilometri di gasdotto che si estenderanno per via paganico, San Nicola, Appia e Castagnoli. Ci sarà l’opportunità di avere una linea di gas metano che converrà molto ai cittadini. Personalmente ritengo che questo accordo abbia il valore di un’opera pubblica. L’altro punto è più complesso, riguarda il Cimitero. Mi rivolgo ai cittadini dicendo che qualche giorno fa ho effettuato una denuncia per una presunta vendita illegale di una cappella gentilizia. Il malcostume che si è creato, come volgarmente si dice, nel “comperarsi un posto al cimitero”, è una farsa e non più possibile. Visto che questa mala abitudine dà l’impressione che il cimitero possa essere come “occupato”, si necessita di fare chiarezza una volta per tutte. Gli unici punti ove è possibile informarsi riguardo la disponibilità di posti al cimitero sono gli Uffici Cimiteriali. Aggiungiamo poi che il termine “comprare” non è esatto in nessun caso. Il luogo al cimitero si affitta: è una concessione a tempo, e scade dopo 50 anni, perché è di tutti e tutti devono avere la possibilità di seppellire i propri cari.

Sperando che mai vi serva, bisogna rivolgersi agli uffici cimiteriali, e mai a qualcun altro.

Claudio Micheli, direttore d’Orchestra e direttore del teatro Artemisio Gian Maria Volontè e della Casa delle Culture e della Musica di Velletri

Come ha speso il tempo della quarantena in relazione al suo lavoro?

Inizialmente il problema covid, come un fulmine a ciel sereno, ha tagliato le gambe a tutti fermando attività, scadenze, progetti e programmazioni da portare a compimento. Noi come Fondazione abbiamo dovuto annullare gli spettacoli dell’ultima parte della stagione di prosa del Teatro Artemisio Gian Maria Volonté, i concerti dell’Auditorium, il corso di Teatro, le lezioni del Coro dei Ragazzi FondarCanto, la mostra del Maestro Sergio Gotti, saggi delle scuole di danza e di musica ed altro ancora.
Io stesso ho dovuto rinunciare ad una tournée di concerti lirici nei teatri di Napoli, Piacenza, Cremona, Lecce, Bolzano, Cosenza, Catanzaro, Pordenone ed altre città, nonché in estiva a Siracusa e Taormina, oltre al Barbiere di Siviglia di G. Rossini presso il Teatro dell’Opera di Messina in giugno. È stato veramente un cambio di passo doloroso ed inaspettato. La quarantena però, dopo il primo violento impatto, non ha fermato lo spirito creativo e del fare, ad esempio lo studio della musica in particolare di opere e sinfonie che non avevo mai diretto compresa la ripresa dello studio della Chitarra, mio strumento principale. Anche l’attività di direttore artistico della Fondazione Arte e Cultura non si è fermata, cercando di capire e studiare la situazione degli altri teatri e sale da concerto, sia di enti pubblici che privati, sempre in contatto con i miei colleghi per essere pronti ad una eventuale ripresa delle attività, quindi sondare il panorama artistico e le offerte che già da aprile/marzo sono arrivate da parte di agenzie e compagnie teatrali che confidano in una ripresa regolare della programmazione, si spera, per la fine del 2020 inizi 2021. Sto cercando intanto i questi giorni di far riaprire in sicurezza i nostri spazi all’aperto quali il Chiostro della Casa delle Culture e della Musica e del Giardino per ricominciare piano piano a ridar vita a quello che la Fondazione ed i suoi preziosi collaboratori hanno messo in campo in questi anni, portando all’attenzione della cittadinanza circa duecentocinquanta eventi tra prosa, musica, mostre, libri, convegni, conferenze, festival, concorsi nazionali come la Campaniliana, lezioni di teatro, di canto per ragazzi fino ad arrivare agli incontri di yoga, insomma arte e cultura a tutto tondo.

Si è sentito dimenticato dalle scelte governative?

Senza dare colpe a nessuno ma facendo una disamina costruttiva di quello che è capitato e sta continuando a succedere al nostro Paese e in tutto il mondo, credo che si sarebbe potuto fare meglio e di più, specie in questi giorni in cui il Covid sembra, e ripeto sembra, aver allentato la sua morsa. Forse osare di più dando ad esempio ad ogni teatro o sala da concerto e sotto la propria responsabilità, la possibilità di ottimizzare gli spazi con regole differenti considerando il contagio zero in alcune aree del Paese, riguardo il numero di spettatori e il tipo di evento da proporre. Ad oggi, senza ricordare le disposizioni ministeriali e regionali ormai note, è praticamente impossibile riaprire un teatro o una sala da concerto, senza ridurre di molto il numero di posti a sedere a disposizione, quindi con i costi delle compagnie teatrali o gruppi musicalinon sopportabili, senza contare il costo del presidio medico per la temperatura corporea di tutti, la sanificazione continua della sala, dei bagni, delle poltrone, dei camerini, etc. con remissione praticamente certa. Solo all’aperto si può tentare qualcosa come dicevo poc’anzi, e comunque sempre con posti ridotti a distanza come da decreto. La situazione al momento è critica e più del 50% dei teatri privati, cioè senza sovvenzione ministeriale, non riaprirà, e questa è una cosa certa. Si dovranno aspettare tempi migliori perché con queste regole assolutamente più conveniente stare chiusi che riaprire.

Come vede il futuro del teatro dopo il ritorno alla normalità?

Credo che molti teatri saranno costretti a cambiare tipo di programmazione, pur riaprendo, e a considerare tipi diversi di spettacoli e relativi costi. Saranno preferiti monologhi o al massimo compagnie con due o tre attori, sempre tenendo presente che tutto ciò potrà essere messoin campose anche il pubblico ritroverà la voglia e ed il “coraggio” di tornare a frequentare queste sale. Ammesso e non concesso che il decreto cambi e si ritorni alla possibilità di avere tutta la sala a disposizione, matinée per scuole a parte, c’è da considerare che il pubblico della prosa, come quello della lirica, è un pubblico, tranne eccezioni, che parte dagli over cinquanta e quindi sta nella fascia dei più esposti ad un ritorno del Covid, e si dovrà vedere dunque quanto questo dettaglio influirà sul ritorno degli stessi a teatro. Non credo e non appoggio personalmente il format degli spettacoli in streaming, lo trovo già superato prima di nascere; il teatro e tutte le forme di spettacolo dal vivo hanno un loro perché, una loro natura che nasce dall’aggregazione di persone che vivono lo spettacolo uno accanto all’altra, per poter ridere, piangere, discutere e vivere quel momento prendendo e dando energia all’evento, tutti insieme, spettatori e artisti. Un momento non replicabile che ha il suo fascino e nel quale ognuno coglie l’attimo dello scambio di sinergie tra pubblico/palcoscenico. Per non parlare dell’attesa nel Foyer prima dell’evento e il dopo teatro con discussioni, pareri, sensazioni avute magari da scambiarsi in un altro locale notturno davanti ad una pizza. Non si può minimamente paragonare ad uno streaming freddo ed asettico, seppur interessante nei contenuti; lo spettacolo dal vivo, ed il teatro in particolare, è una magia che si ripete e che si modifica anche alla trentesima rappresentazione dello stesso titolo, anzi sarebbe una cosa insolita se non accadesse.
Io confido in un ritorno alla normalità in tempi relativamente brevi, e cogliendo la parte positiva, se mai ce ne fosse una in questo virus, connoterei l’accaduto come un momento di pausa riflessiva e presa di coscienza di quello che sta succedendo e che potrebbe accadere in un futuro. La cosa certa è che quando si ricomincerà a pieno regime, perché sono sicuro che accadrà, si apprezzeranno tante piccole cose e sfumature che ci riempiranno di gioia solo per averle potute cogliere, e quella di andare di nuovo a teatro, entrare nel foyer, accomodarsi in sala con la luce che si spegne ed il sipario che si apre sarà una di queste.

Intervistare Shany “ai tempi del Covid-19” è stata in sé un’esperienza indimenticabile. Non perché l’utilizzo dei sistemi digitali imbarazzasse o ne compromettesse la prestazione, anzi, tutt’altro, sul quel fronte ho potuto apprezzare una professionalità e serietà che spero di incontrare sempre più spesso in futuro. Ho sperimentato l’indimenticabile per il modo in cui i contatti, la cura dell’articolo e delle risposte, i cosiddetti feedback,  sin da subito, hanno assunto un’aurea di complicità e serenità definibili con un’unica espressione: amicali.

Shany è un attore e comico italiano, anche piuttosto talentuoso, l’arma che usa per sedurre i suoi interlocutori è una sfacciata e simpatica semplicità. L’abbiamo visto di recente sulla Rai, in un cameo con Edoardo Pesce nello strepitoso film Permette, Alberto Sordi diretto da Luca Manfredi. L’umiltà che fa da sfondo al suo talento potrebbe illuminare tutti coloro che credono che l’Arte si sia trasformata in una scorciatoia per essere “grandi”. Shany sembra aver fatto proprie le parole di Domenico Scarpa, il quale afferma che per far tornare il pubblico ad amare l’arte complessa (quella difficile, che richiede un seppur minimo sforzo di comprensione), bisogna conquistarlo con “un lavoro lungo, difficile, oscuro, senza garanzia di successi e con riconoscimento mediocre”.

Shany hai sempre voluto recitare? Quando è scattata la scintilla tra te e l’arte attoriale?

Non sono un attore puro. Sono una persona che ama comunicare con il prossimo in maniera non convenzionale, quindi adotto l’Arte per farlo. Mi ritrovo ad essere attore perché scrivo poesie in dialetto romanesco e mi ritrovo obbligato a interpretarle, oppure perché suono diversi strumenti musicali ma tra una canzone e l’altra non riesco mai a stare zitto. Perché disegnando vignette non posso che dare ai personaggi battute ed espressioni facciali che l’attore che è in me consiglia di dare. Perché mi piace far sorridere i miei commensali, perciò sfrutto la dote di saper fare qualche imitazione. Quindi mi conosci come attore perché mi sono semplicemente capitate più occasioni in cui ho avuto modo di esprimermi con la recitazione. Se mi avessero offerto più lavori come imbianchino, magari, potevamo improntare questa intervista su altri argomenti. Magari anche più interessanti. Non ho mai voluto recitare ma purtroppo è una delle pochissime cose che mi riescono bene.

Hai un tuo idolo in particolare? A chi ti ispiri sia nella vita che nella tua professione?

Dopo aver avuto molti idoli come attore ed esserne stato puntualmente deluso (tra i grandi nomi dello spettacolo riesco a salvarne soltanto quattro o cinque, almeno tra quelli che ho conosciuto) ad oggi preferisco conservare idoli come semplice spettatore. Che poi, anche questa espressione… ‘semplice spettatore’. Lo spettatore non è mai semplice o sempliciotto. Si accorge immediatamente se stai barando nel raccontare qualcosa. Mi piace essere Arte, non farla. Nella vita privata, più che idoli, coltivo esempi di grandi personaggi come filosofi e guide spirituali appartenenti alla cultura orientale, soprattutto Osho e Sadhguru. Molti musicisti del passato mi aiutano a vivere meglio la giornata: John Lennon e Freddie Mercury su tutti. Nel lavoro ho sempre preso ispirazione dai grandi della commedia all’italiana: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Carlo Verdone. Però mi piace molto dissacrare come sapeva farlo Nanni Moretti e sono uno di quelli che difendono Morgan a spada tratta.

Ti abbiamo visto nel film su Alberto Sordi con Edoardo Pesce, andato in onda pochi mesi fa sulla Rai. Cosa ti ha regalato quell’esperienza?

Parto dal presupposto che Alberto Sordi è mio padre, mio zio, mio fratello, mio cognato, il mio migliore amico, il mio macellaio di fiducia. Appena seppi che Luca Manfredi era al lavoro per omaggiare con un film i cento anni dalla nascita di Albertone, mi misi subito alla sua ricerca inviandogli più e più volte le mie imitazioni di Sordi (con il senno di poi mi rendo conto di averlo leggermente stalkerizzato). Fortunatamente riuscì a capire che il mio desiderio di contribuire ad un progetto dedicato ad Alberto era più grande della semplice voglia di apparire che un attore può nutrire. Pur avendo partecipato in piccolissima parte, sono orgoglioso di aver aggiunto il mio nome ad una squadra che ha saputo portare alla luce un progetto così onorevole. È un ricordo che terrò gelosamente nel cuore anche perché è stata un’esperienza che mi ha permesso di vincere il “Sampietrino d’oro Marguttiano” come miglior attore cinematografico esordiente.

Come attore ti sei sentito escluso dai provvedimenti governativi?

Il Coronavirus è stato e continua ad essere una lente di ingrandimento che ci ha costretti a vedere meglio ciò che ci circonda. Gli amori o si sono rotti o si sono rafforzati, stessa cosa per le amicizie. E così per la cultura e per gli artisti, soprattutto quelli più nascosti al grande pubblico che sono sempre stati visti come lavoratori di spettacolo di serie Z, esseri sfaticati che non pensano al futuro e ai contributi. Non è una novità per i saltimbanchi essere trattati come gli ultimi della baracca. Per fortuna, però, esistono ancora persone che riconoscono a noi ‘ultimi’ la capacità di far sentire primi tutti gli altri. E in che modo gli artisti fanno questo? Regalando bellezza. È anche vero che molti che non erano artisti prima della pandemia si sono autoproclamati tali soltanto da tre mesi a questa parte soltanto per dare un senso alle loro vite. Tra l’altro il mondo della cultura non è composto soltanto da chi è sotto i riflettori ma anche e soprattutto da chi lavora dietro le quinte.

Cosa pensi del ruolo dell’arte e dello spettacolo nel “rilancio” del Paese?

L’ultimo libro che ho letto è ‘La casa gialla’ di Morgan. Oltre a stilare una tesi basata sulla poca considerazione che a volte si ha nei confronti di un personaggio pubblico e del lavoro che compie per il prossimo (l’arte si fa non per sé stessi ma per la collettività e per il bene comune, quando è fatta bene), contiene un capitolo dedicato alla totale mancanza di tutela degli artisti e all’idea di una proposta di legge che sia in grado di dare il via alla nascita di una categoria artistica che sappia riconoscere il nostro lavoro anche in situazioni drammatiche come quella che stiamo vivendo adesso. Dal primo giorno di quarantena fino ad oggi, io e i miei colleghi (chi in maniera più copiosa e chi meno ma sempre e comunque gratuita) abbiamo reso la reclusione forzata più sopportabile regalando alla società musica, recitazione, poesia, disegno, pittura, fotografia. Non credo al rilancio del Paese grazie all’arte, semplicemente perché questo Paese non ha mai voluto ripartire da zero cominciando dalla bellezza. Ci basti pensare che in Italia custodiamo il 70% del patrimonio artistico mondialee che, se volessimo, potremmo sostenerci contando soltanto sul turismo e sulla bellezza. Questo a livello nazionale ma anche e soprattutto locale. Da veliterno sto ancora aspettando un Sindaco ed una Giunta che siano in grado di far scoprire al prossimo che sul nostro territorio hanno abitato la Magnani, Eduardo, Gassman, Sordi e tanti altri.

                                                                                              Ascenzio Maria La rocca

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