Mamme a cinquant’anni: una scelta che fa discutere

Claudia Moretta6 Giugno 2021

Sul corpo delle donne e sulle loro decisioni c’è sempre troppo clamore e poca cultura

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L’ultima in ordine di tempo è Naomi Campbell, diventata mamma a 51 anni. Ma se andiamo a sfogliare quotidiani e riviste, sono numerose le donne che decidono di intraprendere questo passo superati ampiamenti i 40 anni. Solo per citarne alcune troviamo Gianna Nannini, Brigitte Nielsen, Ramona Badescu, Carmen Russo, Alessandra Martinez, Heather Paris ma anche Janet Jackson e Cameron Diaz. E anche se le dinamiche, le storie, le motivazioni che hanno portato queste donne a una decisione del genere sono le più disparate, in comune hanno tutte la stessa cosa: il giudizio.

È sempre più comune, infatti, che a comportamenti definiti “non consoni” da parte delle donne, arrivi, almeno nel nostro Paese, una schiera di uomini sessantenni che si sente in dovere di dirci cosa è meglio farlo e quando farlo, ignorando che loro sono i primi ad avere figli anche oltre i 70 anni senza che nessuno proferisca parola. Qui sorge infatti la prima domanda: perché agli uomini è consentito e alle donne no? È solo una questione “di natura”? Risiede tutto nel fatto che se le donne, a un certo punto della loro vita, perdono la loro capacità riproduttiva devono accettarlo e basta o piuttosto dietro c’è un retaggio culturale che vede la donna ancora poco emancipata e libera nel pensiero comune? Perché vedete, a chi mi risponde la prima posso anche dare credito. Mi posso sedere a discutere con lui o con lei, posso andare incontro alle sue ragione, anche se non sono le mie. Posso far vedere quanti progressi ha fatto la scienza e quanto sarebbe ingiusto non goderne se questo permette a un altro essere umano di stare bene, di stare meglio, anche solo emotivamente. Ai secondi, invece, non posso e non potrò mai dare ascolto e forse ormai per loro sarebbe anche impossibile ascoltare le ragioni altrui, talmente chiusi nei loro ragionamenti patriarcali di anni.

Quello che c’è da fare oggi, subito, anzi forse anche ieri, è invece investire in cultura. Tutti i problemi riguardanti il corpo delle donne, come mestruazioni, malattie riproduttive, ricorso all’aborto o semplici attenzioni al come siamo fatte, sono sottovalutati, non trattati, derubricati. Basti pensare, per fare un esempio in ordine di tempo, che nessuna ricerca sui vaccini Covid-19 tiene in considerazione come essi possano interagire con il ciclo mestruale. Come se non esistesse. Come se non avessimo, noi donne, delle peculiarità di cui spesso tendono a farci vergognare anziché parlarne. Perché tutto, dalla scienza alla cultura, mettono al centro l’uomo, non in quanto essere umano ma proprio in quanto individuo di sesso maschile.

L’avere figli in età avanzata, quindi, rientra in questi casi in cui l’uomo sì e la donna no. Perché culturalmente non siamo abituati, e anzi culturalmente non siamo attrezzati nemmeno a parlare del fatto che spesso si arriva tardi a una gravidanza perché c’è scarsa attenzione ai problemi che possono affliggere l’apparato riproduttivo femminile. Io stessa, alla soglia dei 38 anni, ho scoperto leggendo e documentandomi, malattie di cui ignoravo l’esistenza e che invece colpiscono una percentuale spaventosa di donne costringendole a ricorrere a cure lunghe, incerte e costose.

Non capisco perché, quindi, quando è una donna a cercare una gravidanza in età adulta si parli di egoismo, di natura, di scarsa capacità di accudimento, mentre quando è un uomo spesso nemmeno se ne parla, e se lo si fa è sempre in toni positivi o quantomeno neutri.

Una vera parità parte dalla quotidianità per approdare a temi complicati e difficoltosi come questo. Ma si basa, grande o piccolo sia l’argomento, sulla discussione, sulla conoscenza, sulla consapevolezza che essere donne non vuol dire essere alla mercé di tutte le opinioni. Vuol dire semmai affrontare le proprie peculiarità e farle diventare punti di forza grazie alla padronanza del proprio corpo.

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