Il dolore nei cuori ma anche la voglia di guardare avanti

Ottavia Lavino25 Settembre 2020

Pensando ai “caduti” di Nembro

Gigi Riva Ecrivain
Luigi Riva

Il dolore nei cuori ma anche la voglia di guardare avanti

Pensando ai “caduti” di Nembro

Luigi Riva è un giornalista e scrittore italiano, ha collaborato con varie testate nazionali, attualmente editorialista del gruppo L’Espresso. E’ stato a lungo    inviato speciale in Medio Oriente e nell’ex Jugoslavia “spinto dalla volontà e dal desiderio di conoscere il mondo ma anche dal mio senso civico di raccontare“. Esperienze che lo hanno segnato profondamente e  che hanno ispirato alcuni dei suoi romanzi come, ad esempio “Jugoslavia il nuovo Medioevo”. Ho avuto il piacere  di conoscerlo qualche anno fa proprio durante una mostra fotografica dedicata a Sarajevo allestita presso Porta Napoletana a Velletri dal fotografo Matteo Bastianelli,  e sono rimasta subito colpita dai suoi modi gentili, da uomo “d’altri tempi”. In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, ” Non dire addio ai sogni” edito da Mondadori, l’ho intervistato per voi.

1) Il  suo prossimo libro sarà su Nembro e i suoi morti per Covid. Il Coronavirus ha fatto più morti di quanti ve ne siano stati nelle ultime due grandi guerre. Cosa resterà nelle coscienze di questa immane tragedia?

Si, ci vorrà ancora del tempo per vederlo in libreria, però sto lavorando su Nembro, il mio paese d’origine, in Valle Seriana Bergamo, che ha avuto 188 morti per il coronavirus in due mesi, più dei Caduti in 4 anni nella Prima Guerra Mondiale e di 5 anni nella Seconda. Le persone che hanno incontrato il Covid sono risultate, dalle analisi sierologiche a tappeto, 7 mila su 11,500 abitanti. Io ho avuto tutti i parenti positivi, salvo mia madre, 83 anni, che è stata blindata per 90 giorni da sola in casa. Diversi amici hanno rischiato la vita, molti conoscenti sono morti. 

La mia idea è quella di raccontare, con la formula del romanzo del vero, quanto è accaduto, di fare di Nembro un luogo paradigmatico della pandemia. Spiegare cosa succede in una comunità dove, di colpo, scompaiono delle figure significative del panorama umano. L’ostetrica, il vigile urbano, l’impiegata dell’anagrafe, il factotum del cinema, il presidente della Casa di Riposo, quello degli Artiglieri, quello del Club motoristico. E anche il pensionato che faceva attraversare la strada ai bambini della scuola, la titolare del negozio di giocattoli, il fratello che gestiva la ferramenta…

Insomma una Spoon River di Nembro. Con annessa l’eredità che queste persone hanno lasciato. Il dolore nei cuori ma anche la voglia di guardare avanti, di preservare quel senso di comunità che, per paradosso, è diventato ancora più forte nell’avversità estrema.

2) Quando parla di tutti quei giovani africani che si affidano al mare nel tentativo di realizzare una vita migliore non esita a puntare il dito contro i  profittatori di questa nuova forma di schiavitù. Anche se alcuni sono riusciti a garantirsi l’ascesa economica (vedi mondo del calcio), sentono comunque di rimanere degli immigrati. Non diventeranno mai autentici europei?

Io credo che la stragrande maggioranza degli immigrati alla lunga diventano europei. Ci vuole solo del tempo per la costruzione della loro nuova identità plurale che contempla sia quella dei luoghi d’origine sia quella dei luoghi d’approdo. E’ successo così ai milioni di italiani andati a cercare fortuna negli Stati Uniti, in Sudamerica come in Australia. E’ successo così con gli albanesi sbarcati da noi negli Anni Novanta, per i migranti africani o mediorientali di prima generazione, per i magrebini in Francia o gli asiatici in Inghilterra. La cittadinanza è un rapporto col suolo non col sangue. E i valori alla lunga si condividono per assimilazione. Certo poi ci sono alcune frange che rifiutano il nostro modello. Ma sono appunto frange.

3) Il suo libro ” Non dire addio ai sogni” parla di quei tanti giovani africani che una volta superato l’arduo viaggio non hanno trovato una promessa di successo ma solo povertà e porte chiuse. Si può parlare di una nuova forma di schiavitù contemporanea?

Sicuramente. Una nuova forma di schiavitù che contempla metaforicamente un pallone al piede invece di una palla al piede. Sono circa 15 mia ogni anno gli adolescenti truffati da finti procuratori sportivi che, in cambio di denaro, promettono provini con i club calcistici più blasonati d’Europa salvo abbandonare per strada questi adolescenti che diventano manovalanza per la malavita o addirittura dei gruppi jihadisti.

È una forma di schiavitù ancora più odiosa perché sfrutta i sogni degli adolescenti, facendoli passare dall’illusione al disincanto. Per chi ci guarda da fuori, noi, l’Europa, siamo ancora un Eldorado, un’idea di felicità.                 

4) “Non dire addio ai sogni” diventa per il giovane protagonista la storia di chi vuole resistere, come in una partita di calcio dalla difesa all’attacco, dall’attacco alla difesa, come un pendolo dal moto perpetuo?

Amadou, il mio protagonista, è un ragazzo senegalese di 14 anni la cui storia è di finzione ma è verosimile, l’esempio di quanto succede praticamente ogni giorno. Sedotto in patria, abbandonato per le strade di Marsiglia, attraversa tutti i mali della contemporaneità. Finisce in banlieue dove per sopravvivere è costretto ad affiliarsi a una gang di spacciatori di droga. Entra in contatto con una cellula dello Stato islamico, scappa a Nizza dove pure non avrà fortuna. Infine l’approdo alla stazione Termini di Roma quando ha ormai 16 anni. Si arrangia a vivere nel sottosuolo del grande scalo di Termini per essere risucchiato nel malaffare. Però “Non dire addio ai sogni” è anche un viaggio d’iniziazione adolescenziale. E Amadou proprio a Roma, grazie a una ragazza di borgata, conosce prima il sesso e forse l’amore. Parallelamente si snoda la parabola della sorella di Amadou, Aisha, che ha il sogno di diventare stilista in Europa. Per i ragazzi africani il sogno è il calcio, per le ragazze la moda (in Senegal c’è un canale televisivo, Fashion tv, che trasmette sfilate per 24 ore al giorno). E il finale riserva molti colpi di scena tra cadute e risalite.

5) In una sua intervista lei ha dichiarato: “Sono stato fortunato, era il mestiere più bello del mondo, mi hanno pagato per fare cose che io stesso avrei pagato per poter fare”. Cosa si sente di consigliare a chi vuole intraprendere l’attività di giornalista?

Il giornalismo è molto cambiato da quando io ho cominciato. Oggi nessuno ti paga più per “fare cose che avrei pagato per fare”. O almeno non con la stessa cadenza di un tempo.  Io ho avuto la fortuna di girare tutto il mondo come inviato speciale per circa 30 anni. Oggi mancano queste risorse economiche per una vita certo faticosa e impegnativa ma tanto avventurosa. 

Il giornalismo tuttavia conserva ancora un fascino. Mantiene giovani perché si è sempre a contatto con la realtà. Pur stando chiusi in una redazione non si prova la noia, le notizie cambiano vorticosamente ogni giorno. E la voglia di raccontare storie resta inalterata. 

Il consiglio che posso dare ai giovani è questo: se volete fare il giornalista abbiate tanta curiosità, tanta passione. E tanta dedizione. È un mestiere che chiede molto, ruba una fetta larga di vita privata. Ma in cambio restituisce la sensazione, per parafrasare Indro Montanelli, che non si lavora per davvero.  A chi piace farlo il mestiere del giornalista non è lavoro, è divertimento.

6) Amiamo concludere le nostre interviste con un vizio, una virtù e un desiderio.

Vizio. Tanti. Uno per tutti. La testardaggine che mi rende faticoso ammettere di aver sbagliato. 

Virtù. Credo di essere uno che non molla mai. Che se vuole ottenere una cosa ce la mette tutta.

Desiderio. Potermi permettere prima o poi un piccolo appartamento, basta anche uno “studio”, a Parigi.

BIOGRAFIA

Luigi Riva è stato direttore del Giornale di Vicenza dal 4 giugno 2001 al 20 ottobre 2002. È stato caporedattore centrale del settimanale L’Espresso dal 2012 al 2016. È stato a lungo inviato speciale nell’ex Jugoslavia e in Medioriente rispettivamente per il Giorno e L’Espresso. Ha lavorato anche al Giornale di BergamoGazzettinoe D – la Repubblica delle donne. Attualmente è editorialista del gruppo L’Espresso.

Ha scritto:

Jugoslavia il nuovo Medioevo (Mursia 1992, con Marco Ventura).

L’Onu è morta a Sarajevo (Il Saggiatore 1995, con Zlatko Dizdarevic).

I muri del pianto (UTETDe Agostini2006).

Le dernier pénalty (Editions du Seuil, Parigi, 12 maggio 2016, poi uscito in Italia da Sellerio, Palermo, il 19 maggio dello stesso anno, col titolo L’ultimo rigore di Faruk). Il libro ha vinto il “Prix Etranger Sport et Littérature” assegnato dall'”Association des Ecrivains Sportifs” al miglior volume scritto in lingua straniera e pubblicato in Francia nel 2016. Sempre nello stesso anno in Francia è stato anche inserito nella cinquina di finalisti del “Prix Jules Rimet”. In Italia nel 2017 il libro ha vinto la 51ª edizione del Concorso letterario del Coni per la sezione narrativa e ha ottenuto la menzione speciale al premio letterario “Antonio Ghirelli”.

Non dire addio ai sogni (Mondadori, collana “Strade Blu”, 1 settembre 2020), romanzo sul fenomeno della tratta dei giovani calciatori africani.

Luigi Riva

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