Referendum e amministrative: ecco cosa è successo

Gianpaolo Plini23 Settembre 2020

C’è chi esce sconfitto, ma veri vincitori non ce ne sono

Luigi Di Maio (mmagine presa dal web)
Luigi Di Maio (immagine dal web)

Il pareggio, 3-3, alle elezioni regionali e il trionfo del Sì al referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Una domenica e un lunedì di elezioni che lasciano sul campo di battaglia vincitori e vinti, stavolta non così facilmente distinguibili. Partiamo dal taglio dei parlamentari. Una legge di riforma costituzionale che mirava a modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione era stata approvata quattro volte in Parlamento, due alla Camera e due al Senato. Un gruppo, piuttosto sparuto, di senatori (71) hanno raccolto le firme necessarie ad indire un referendum confermativo, per il quale non è previsto nessun quorum di validazione. Il 70% degli italiani, con le solite differenziazioni tra centro (per il No) e periferia (per il Sì), hanno deciso di approvare la “sforbiciata”, per alcuni dal carattere anticasta. Il 22 settembre, il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge che non si applicherà, comunque, prima di 60 giorni. Il Parlamento, solo dalla prossima legislatura, avrà un numero di eletti inferiore: 400 alla Camera (non più 600) e 200 al Senato (non più 315). Il risparmio interno al bilancio dei Palazzi rappresentativi sarà all’incirca del 7%. Non si è registrata, quindi, la tanto vaticinata rimonta del No che ha visto sorgere in questi giorni diversi comitati che hanno avuto largo spazio sulla stampa nazionale la quale, coram populo, ha cercato di spingere gli elettori verso il niet. Bersani ha parlato di “No sinceri e No insinceri”: alcuni speravamo di dare la spallata all’esecutivo che, invece, esce dalle urne potenziato. Diversi sostenitori del No si soffermano su un’affluenza piuttosto bassa: il 53,8% degli aventi diritto. Percentuale equipollente al referendum della devoluzione berlusconiana del 2006 e inferiore al referendum sulla riforma Renzi-Boschi del 2016 quando, però, il voto era stato legato esplicitamente alle sorti politiche dell’attuale senatore di Rignano e leader di Italia Viva, Matteo Renzi. In ogni caso, l’affluenza è stata dell’80% in Molise, del 78% in Campania, del 76% in Calabria, del 75% in Sicilia, del 60% in Friuli e del 66% nel Lazio e in Toscana. Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio questo è “un risultato storico, torniamo ad avere un parlamento normale. La politica dà un segnale ai cittadini. Adesso ci batteremo -continua Di Maio- per il taglio degli stipendi dei parlamentari”. Esulta anche Nicola Zingaretti che vede nella vittoria del SI l’inizio di una “nuova stagione di riforme. Il Pd si farà garante delle posizioni del No”. Il nodo da sciogliere è proprio quello relativo alle necessarie riforme correttive. Se l’Italia passa da 1,6 ad 1 eletto ogni 100.000 abitanti (rimanendo al primo posto rispetto allo 0,8 della Spagna e allo 0,9 della Germania), è chiaro che ora le Camere dovranno approvare nuovi regolamenti per garantire la funzionalità dei lavori nelle commissioni e soglie di voto adeguate. Con ogni probabilità anche i 18enni potranno votare i senatori: la legge di riforma costituzionale è passata in prima lettura e potrebbe entrare in vigore entro l’anno. Di particolare rilevanza, le misure presentate da Federico Fornaro di Leu: il superamento della base regionale del Senato e la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato. Partita fondamentale sarà, poi, quella che si giocherà sulla legge elettorale ridenominata Brescellum: un proporzionale puro con soglia di sbarramento al 5% che già ha superato il vaglio della Commissione alla Camera. Il Movimento 5 Stelle si è intestato la vittoria del referendum dato che sono stati in molti a tirarsi indietro, sostenendo il No dopo aver votato per il SÌ in Parlamento. Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega parlano da posizioni opposte che celano anche una diversità di vedute non secondarie nel centrodestra che vede la leadership di Salvini incrinarsi pian piano. Il segretario del Carroccio afferma: “Siamo stati sempre per il SÌ, non chiedo nuove elezioni”. Per Giorgia Meloni, invece, il Parlamento esce delegittimato perciò si dovrebbe tornare subito alle urne. Chi ancora non ha fatto sentire la propria voce è stato Mattia Santori, promotore del Movimento delle Sardine. Santori che era “fuggito” dalla manifestazione del Comitato per il No a Roma che non aveva ottenuto il seguito sperato, con una piazza semi-vuota e non per il Coronavirus. Le elezioni regionali segnano un pareggio a cui pochi credevano. I pronostici dei media davano la vittoria della destra con un 4 a 2 o un 5 a 1. Addirittura, c’è chi paventava un secco 6 a 0. Nulla di questo è accaduto. In Puglia, il candidato del Pd Michele Emiliano batte con un 46% il candidato del centrodestra Raffaele Fitto che si ferma al 39%. Laricchia del M5S tradisce le aspettative attestandosi all’11% mentre Scalfarotto, sostenuto da Italia Viva e Avanti, ottiene un 2%. Un voto che crea qualche sofferenza nel centrodestra con Matteo Salvini che parla per il futuro di “candidati più innovativi”. La sinistra tiene anche in Toscana, altro feudo rosso, che la candidata leghista Ceccardi (41%) non riesce ad espugnare al candidato Giani (48%). Appare evidente come in queste in Toscana gli elettori grillini abbiano optato per il voto disgiunto mentre in Puglia abbiano deciso di sostenere Emiliano. Un dato politico che deve indurre i vertici del Movimento e del Partito Democratico a meditare alleanze locali ben strutturate e costruite nel tempo, magari amalgamando i programmi. La pensa così Luigi Di Maio che avrebbe “organizzato il tutto in maniera diversa”. L’unico candidato unitario che si può definire giallorosso, Ferruccio Sansa, ex giornalista de Il fatto Quotidiano, ha perso contro il governatore uscente Giovanni Toti (56%) in Liguria. Sansa ha sofferto di un’impasse tra PD e 5Stelle che si è sbloccato solo poche settimane prima del 20 settembre, quando Toti era già partito con la sua campagna elettorale. In Campania, De Luca si conferma Presidente della Regione con un 67%, staccando di molto il 19% raccattato da Caldoro del centrodestra. Lo “sceriffo” ha goduto di una comunicazione prepotente durante i mesi della pandemia oltre che del sostegno allargato a compagini locali che non si possono proprio definire di sinistra. La vittoria di Emiliano, De Luca e Giani cementa il Governo ma non si traduce in una vittoria per Nicola Zingaretti. Se il segretario del Pd ha sventato i tentativi di cambi al vertice del partito propugnati da Bonaccini e Gori, non può dormire sonni tranquilli dato che i candidati vincenti sono lontani dalla sua linea. Emiliano è da sempre in contrasto con la dirigenza del Nazareno, De Luca è un uomo solo al comando tanto che si era provato ad individuare un candidato diverso e Giani è un renziano di lungo corso. Anche Renzi esce con qualche livido dalle consultazioni: la sua creatura, Italia Viva, ha riportato percentuali da prefisso telefonico. Il centrodestra conquista dopo 25anni le Marche con Francesco Acquaroli (51%) che ha la meglio su Mangialardi. La Meloni è accorsa ad Ancona per festeggiare. In Veneto si è registrato un vero e proprio plebiscito in favore di Luca Zaia (76%) che si conferma governatore per la terza volta, dopo la riforma della legge che fissava a due i mandati presidenziali nel lontano 2012. Un risultato che fa tremare Salvini: la lista del Carroccio ha ottenuto il 14% contro il 47% della lista Zaia Presidente. Percentuali che in Veneto confermano l’esistenza di due anime: da una parte quella autonomista e dall’altra la vocazione nazionale. In casa giallorossa Conte e il Governo festeggiano ma rimane la tentazione di portare Zingaretti al Viminale o alla vicepresidenza del Consiglio. Insomma, questo o qualche altro rimpasto che vengono negati dai grillini: “Conte non vuole toccare nulla”, come ha assicurato lo stesso premier. In ogni caso, è aumentata la forza del Pd che si attesta come primo partito, tanto che il segretario Zingaretti preme per la modifica dei decreti sicurezza già a partire dal prossimo cdm. Una mezza vittoria quella dei grillini: l’esito referendario è tutto loro ma le regionali certificano la quasi irrilevanza del Movimento a livello locale. Di sicuro, la compagine che si stringe intorno a Di Maio esce più forte, scansando quella di Di Battista indebolito dalla battaglia contro il voto disgiunto che parla di “sconfitta epocale”. Per il movimento, ora, è tempo di Stati Generali per decidere sul proprio futuro: ci sono troppe voci discordanti che devono essere sintetizzate in un solo coro. Nel centrodestra qualcosa è morto e qualcosa si muove. Forza Italia non è pervenuta. Mentre Giorgia Meloni raccoglie tutti i voti in uscita dalla Lega, “siamo l’unico partito che cresce ovunque”, suggella la leader di Fratelli d’Italia. Non è piaciuta a Salvini la candidatura di Fitto in Puglia che reputa scontata e gerontocratica. Salvini che non riesce a nascondere l’insofferenza per la sconfitta in Toscana dove aveva preso casa proprio per sostenere la ultra-salviniana Ceccardi. D’altronde, Giani non era proprio imbattibile. Ma è soprattutto il referendum a scuotere le fila interne al centrodestra. Più di qualcuno si dice basito dalla scelta di non sostenere apertamente il SI.

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