Nella giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne bisogna parlare anche di quella psicologica

Claudia Moretta25 Novembre 2020

Dal “Revenge Porn” alla costrizione in casa: tutti gli abusi del nostro tempo

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(immagini dal web)

L’ultima storia in ordine di tempo è quella di una maestra che viene licenziata perché il suo ex compagno manda in giro video e immagini intime di lei. Immagini che arrivano prima agli amici del calcetto, poi alle loro rispettive compagne, approdano nelle famigerate chat delle mamme e infine, in un passa parola virtuale ma ugualmente pericoloso e infimo, arrivano alla preside della scuola che decide appunto di licenziarla. E in questa catena di diffusione mai nessuno obietta qualcosa, tutti e tutte si rendono semplicemente e passivamente strumento di un uomo piccolo, ignobile e scorretto. Lei, la maestra ed ex compagna, sul tavolo degli imputati con un’accusa inesistente, con un capo di imputazione immaginario, una colpa mai compiuta. Il compagno, invece, un reato lo commette e si chiama “Revenge porn”, ed è stato istituito in Italia nell’agosto del 2019. Eppure, a distanza di più di un anno, nonostante una legge vigente, è la donna la vittima morale e materiale di questa vicenda.

(immagini dal web)

E se qualcuno volesse lavarsi la coscienza dicendo che si tratta di un caso isolato, beh deve sapere chiaramente che non è così. Nel maggio 2020 sono stati individuati in Italia 29 gruppi di “Revenge Porn” su Telegram (un canale di comunicazione via chat simile a Whatsapp) con un totale di circa 2 milioni di utenti. Ci si può trovare tutto dentro: immagini scambiate in intimità e date invece in pasto a perfetti sconosciuti, insulti alle rispettive ex compagne, con tanto di riferimenti sessuali e fisici, violenza verbale con cui questi uomini si fanno forti l’un l’altro.

          La violenza appunto. Molto spesso tendiamo a dare un’accezione solamente materiale a questa parola mentre la storia appena raccontata o la stessa presenza di chat con scambio di insulti a donne, ci deve far riflettere sul fatto che la violenza psicologica è spesso potente tanto quanto quella fisica. A volte superiore, a volte inferiore, a volte uguale. Non è questo il punto ma il far uscire a galla che una violenza fisica è sempre la punta dell’iceberg: sotto ce n’è sempre una mentale, più oscura, nascosta che tende a far accettare anche quella fisica. Una donna che non ha le armi per reagire a uno schiaffo, è una donna che è già stata colpita al suo interno, che è stata fiaccata da dentro, svuotata di ogni sicurezza e fiducia. E se lo schiaffo non arriva, non è detto che quella donna stia subendo una violenza inferiore.

Per questo è sempre più importante, in particolare in giornate come quella del 25 novembre e cioè la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, parlare di ogni tipo di violenza, andare a fondo delle questioni, sensibilizzare e mai colpevolizzare.

          Ed è inutile negarlo anche qui: il lockdown cui siamo stati costretti, e in alcuni regioni sono ancora costretti, non ha fatto che condannare centinaia di donne a una violenza quotidiana soprattutto psicologica a cui non potevano opporsi, da cui non potevano scappare, nemmeno per qualche ora al giorno. E invece come paradosso è sembrato quasi che la violenza domestica fosse scomparsa, che dietro a quei balconi in cui ci affacciavamo per cantare non si celasse alcun dramma. Non era così. Non è così. Il dramma è continuo, solo che le armi delle donne per reagire sono sempre più spuntate in situazioni mentali di sudditanza, siano esse virtuali o reali.

          Parlarne, come tutti i mali, è sempre il primo passo. Ma farlo non tralasciando alcun aspetto è un dovere a cui le Istituzioni per prime sono chiamate, e poi ciascuno di noi, come società, come comunità.

woman raised her hand for dissuade, campaign stop violence again
(immagini dal web)
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