L’Europa all’appuntamento con la Storia. Vinti e vincitori? I problemi restano, il futuro è incerto ma l’Italia s’è desta

Gianpaolo Plini25 Luglio 2020
Primo Ministro Giuseppe Conte

L’accordo al Consiglio Europeo arriva all’alba del 21 luglio. I 27 hanno trovato la quadratura del cerchio dopo momenti di estrema tensione. 91 ore e 45 minuti di negoziato che ha visto opporsi la cordata dei Paesi del Sud (i più colpiti dal Covid-19) guidata dall’Italia e i Frugal Four (Paesi Bassa, Danimarca, Austria e Svezia) con il sostegno della Finlandia. Una partita a scacchi complessa la cui posta in palio era il futuro dell’Europa e dei suoi cittadini. Sul tavolo la proposta avanzata nel maggio scorso dalla Commissione: il Recovery Fund, un progetto di ripresa comunitaria redatto principalmente da Francia e Germania, subito ridenominato Next Generation EU. Un fondo da 750 miliardi per rispondere all’emergenza scaturita dalla pandemia di Coronavirus e per farsi trovare pronti “all’appuntamento con la Storia”, per utilizzare un esergo caro alpremier Giuseppe Conte.

La proposta iniziale prevedeva 500 miliardi in sovvenzioni da trasferire agli Stati membri e 250 miliardi sottoforma di prestiti garantiti. 750 miliardi (il 5,4% del PIL dell’Ue) che si inserisce all’interno del Multiannual Financial Framework 2021-2017 che da solo vale 1.100 miliardi di euro. Cifre riviste durante i negoziati. Per accondiscendere alle richieste del “Signor no”, il primo ministro olandese Rutte, i famosi grats sono diminuiti a 390 miliardi. Di questi, 312.5 miliardi stanno a comporre il cuore delle trattative intergovernative: il “Recovery and Resilience Facility” legato ai piani di ripresa di ogni singolo Stato. I restanti 77.5 miliardi di sovvenzioni andranno a sostenere i programmi di bilancio dell’UE.

Il Next Generation Fund, che vedrà la Commissione reperire le risorse sui mercati finanziari utilizzando il suo rating creditizio Tripla A, è stato il risultato di un’estenuante partita politico-diplomatica. Resa ancor più efferata da una serie di problemi non ancora risolti. Prima fra tutti l’assenza di una unione fiscale che vede i Paesi Bassi ergersi a paradiso fiscale attirando le sedi finanziarie di varie industrie: come la FCA. I frugal four,nonostante rappresentino solo il 10% del PIL europeo,si sono seduti al negoziato volonterosi di sostituire il ruolo che fu del Regno Unito. Contribuire il meno possibile e raccogliere quanti più frutti possibile. La Germania ha cercato di giungere ad un compromesso che mantenesse intonso il volto del Consiglio e il suo storico ruolo di mediatrice, riuscendoci. La Merkel, in patria, ha visto il suo CDU crescere nei sondaggi e gli euroscettici (AfD e FDP) perdere consensi. Ma, in ogni caso, lo scontro politico interno ai 27 non ha davvero scontentato nessuno, nemmeno Ungheria e Polonia che hanno ottenuto di non subordinare i finanziamenti al rispetto dello Stato di diritto.

Dunque, è il quadro economico disegnato dal negoziato del Consiglio a decretare i vinti e i vincitori. I frugali hanno ottenuto ulteriori sconti (rebates) sui contributi Ue. In totale, circa il 7,8% in più rispetto all’ultimo bilancio. 1,06 miliardi per la Svezia, 1,9 miliardi per i Paesi Bassi che ottengono anche un aumento del margine fino al 25% sulle attività doganali, 565 milioni per l’Austria e 322 milioni per la Danimarca. Durante la discussione si è deciso di tagliare di 110 miliardi di grants che sono tutti a carico di progetti specifici che si aggiungono al bilancio Ue. Lo smacco per la Commissione è definito “deplorevole” dalla Presidente Ursula Von Der Leyen. Lo storico accordo non ha solamente sancito una primazia del metodo intergovernativo su quello comunitario, ma ha anche dato una sforbiciata al fondo per coadiuvare le imprese (azzerato), la ricerca (-60%), la salute (-100%) e la transizione ecologica (-80%). I 27 hanno perciò deciso di restituire un ruolo di guida alla Commissione all’interno dei meccanismi di governance, ossia di controllo, sulla spesa dei fondi. Il Commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni ha fatto intendere che non ci saranno condizionalità, ma in ogni caso è previsto il meccanismo del freno di emergenza emendato: “I piani presentati dagli Stati membri saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, in base alle proposte presentate dalla Commissione”. In sostanza, il Consiglio (i governi) potrà intervenire esclusivamente per motivi gravi entro tre mesi, mentre la parola finale spetta alla Commissione.

Esce trionfante dall’accordo, il premier italiano Giuseppe Conte. L’Italia ottiene 80 miliardi di sussidi (come nella bozza originaria) e vede aumentare i prestiti da 90 a 127 miliardi. In tal modo, il Bel Paese diventa beneficiario netto (25 miliardi) del bilancio Ue. Questi soldi dovranno essere impegnati per il 77% entro il 2022 e per il restante entro l’anno successivo. I pagamenti si effettueranno entro il 2026 mentre i rimborsi entro il 2058. Una vittoria sofferta quella dell’Italia, che ha guidato la schiera dei Paesi del Sud. Un lavorio diplomatico complesso ed estenuante se si pensa che il leader sovranista olandese chiedeva di “non dare nemmeno un euro agli italiani”. Ora, il nodo da sciogliere è rappresentato dalle modalità e dai tempi della spesa. Il Presidente del Consiglio ha richiamato la necessità di una Task Force composta di esperti indipendenti mentre il capogruppo alla Camera del partito Democratico Andra Marcucci parla di una commissione straordinaria di 25 membri. Tradotto: una bicamerale. Il Pd insiste sull’approvazione del Mes: il 23 luglio in Europa, 5 Stelle e Lega hanno votato insieme contro questa misura. Il partito di Zingaretti lo fa per calmare gli animi dei governatori desiderosi di impostare la campagna elettorale sull’innovazione della sanità. Ora si pensa allo scostamento di bilancio che sarà di circa 25 miliardi e che permetterà di prorogare la cassa integrazione per altri 18 mesi. L’Italia s’è desta.

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