I ragazzi sono spesso asintomatici e non bisogna abbassare la guardia

TEST RAPIDO

La curva dei contagi sembra risalire in tutta Italia. Se la Campania con il governatore De Luca ha deciso per una stretta sulla movida notturna vietando l’ingresso nei locali dopo le 23,00, il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha deciso di dare il via ai test rapidi per le scuole.

Le operazioni di screening hanno riguardato il liceo ‘Manara’ di Roma, il ginnasio di Monteverde in cui lo scorso 10 ottobre si era registrato un caso di positività. L’alunno della classe 1D non era presente a scuola al momento della rilevazione, ma genitori e compagni di classe sono stati avvisati tempestivamente dalla Asl Roma 3, che ha prescritto a tutti i compagni il tampone rapido e la quarantena per 14 giorni. “Chi è sottoposto ad isolamento domiciliare dovrà misurare la temperatura e monitorare l’insorgenza di eventuali sintomi ed aver cura di informare il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta”, si legge nella nota pubblicata sul sito dell’istituto. Al question time alla Camera il ministro della Salute Roberto Speranza ha ricordato come “con l’ordinanza del 13 agosto per primi in Europa abbiamo dato via libera ai test antigenici utilizzati agli aeroporti. Dopo circa un mese i risultati sono incoraggianti e la valutazione del ministero è che si possano iniziare a utilizzare anche fuori dagli aeroporti”.E proprio il Lazio, insieme al Veneto, ha puntato sui test rapidi forte dell’analisi e della validazione dell’ospedale Spallanzani, ha fatto un ulteriore passo avanti, annunciando l’avvio da domani di una campagna di tamponi antigenici nelle scuole. La decisione si è basata sulla differenza notevole tra fare un tampone tradizionale a un caso sospetto e attendere poi due o tre giorni (ma i medici di famiglia di Roma, ad esempio, hanno denunciato che con i primi segnali di stress del sistema il periodo di attesa si è dilatato anche fino a 4 o 5 giorni) e un test che in un quarto d’ora dà il risultato.Si è partiti dalla Asl Roma 4: “Il primo intervento – rende noto l’Unità di Crisi regionale – è stato programmato nel liceo scientifico Vian ad Anguillara. È stata inviata dalla direzione dell’istituto una circolare ai genitori per raccogliere l’adesione volontaria al test che ha visto molta partecipazione. Da domani mattina inizieranno le attività di testing che proseguiranno a rotazione con gli altri istituti del territorio”.“Allo stato attuale, il mondo scuola non è il motore della trasmissione del virus, i casi della scuola sono inferiori al 10% del totale. Dobbiamo continuare a monitorare, c’è una grande collaborazione con le scuole”, ha detto Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio, intervenendo ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus.“Iniziamo la sperimentazione del prelievo salivare, l’ultimo che è stato validato– ha aggiunto D’Amato- Ha la stessa funzione dei test che si fanno in aeroporto, ma cambia la modalità di prelievo, anziché dalle secrezioni nasali si prende la saliva”.La sperimentazione verrà ovviamente monitorata e valutata durante la settimana e “sarà uno strumento dedicato soprattutto ai più piccoli o ai più grandi non collaboranti. Introdurremo oltre 1 milione e mezzo di questi test e piano piano si raggiungeranno tutte le scuole”, ha detto D’Amato che conclude: “Bisogna continuare a fare queste attività di testing e prevenzione, attraverso tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione”.Sulla misura è intervenuto, anche,il virologo e ordinario di microbiologia all’Università di Padova, Andrea Crisanti. Il professore ha sottolineato che “per circoscrivere e spegnere un focolaio bisogna usare test che hanno elevata sensibilità, perché l’obiettivo è non farci sfuggire nessuno. Bisogna chiedersi quale obiettivo vogliamo raggiungere – ha concluso il virologo – e poi chiedersi se lo strumento è adatto, perché non sono tutti uguali”. È evidente che “le scuole sono potenzialmente in grado di aumentare i contagi e lo hanno dimostrato le esperienze di Israele e della Francia”. Bisogna, inoltre, fare particolare attenzione a non commettere l’errore di “andare a vedere la percentuale di studenti che si ammalano”. In questo modo, ha sottolineato, “prendiamo un dato completamente falsato, perché gli studenti non si ammalano. La maggior parte di loro sono asintomatici, però possono portare il virus e possono infettare gli amici e i familiari. L’impatto non si vede sulla scuolasi vede sulla società” ha concluso Crisanti.

Ecco i dati dei contagi e le misure adottate dai plessi dei Castelli Romani

SCUOLA (immagine presa dal web)
(Immagine dal web)

Il Coronavirus è tornato veemente nel dibattito pubblico: i contagi aumentano giorno dopo giorno e la paura di un secondo lockdown si fa concreta. Lo scorso 14 settembre il Governo ha dato avvio al nuovo anno scolastico che è stato oggetto di aspre diatribe tra i vari partiti, durante l’estate. Ora siamo in grado di fornire i primi numeri sui contagi nelle aule che, comunque, gli esperti consideravano inevitabili. Sono almeno 1120 le scuole italiane in cui è stato riscontrato almeno un caso di coronavirus, diffuso soprattutto tra gli studenti. E 99 sono quelle in cui tra i banchi è scoppiato un focolaio, con almeno due casi collegati tra loro. Una piccola minoranza, appena 17, erano già positivi accertati prima del 14 settembre: si tratta dunque di asili nido che sono partiti per primi. Sono invece 429 quelle in cui il contagio si è verificato tra il 14 e il 23 settembre e 673 quelle in cui la diffusione è avvenuta dal 24 settembre in poi, data in cui gli istituti hanno riaperto in tutte le Regioni.I più colpiti sono i licei e gli istituti tecnici o professionali di istruzione superiore. Questo è il quadro che emerge dalla ricerca elaborata da uno studente e da un dottorando italiani: Lorenzo Ruffino, iscritto a Economia all’Università degli studi di Torino, e Vittorio Nicoletta, dottore di ricerca in Sistemi decisionali in Canada. La scuola non sarebbe però, per ora, il motore dell’epidemia. Nel Lazio, ad esempio, “la gran parte sono contagi con link extrascolastico, quindi in situazioni di aggregazione o familiari, contesti portati da fuori a dentro la scuola”, ha affermato l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato.

Ai Castelli Romani i licei stanno correndo ai ripari. In un liceo di Ariccia sono emersi dei casi in un primo e in un quarto superiore. Gli studenti e i professori sono stati messi in quarantena fiduciaria in attesa dei tamponi. Alcuni sono già rientrati a seguito dell’esito negativo. C’è chi ha proposto uno sciopero per chiedere all’istituto di procedere esclusivamente con la didattica a distanza. In questi giorni, alcuni professori hanno tenuto le lezioni da casa agli studenti a scuola, altri hanno svolto lezione in una classe deserta con gli alunni collegati tramite Meet, mentre in altre occasioni la classe era interamente presente. Dal 12 ottobre, si sarebbe deciso di dividere le classi in tre gruppi che ruoteranno ogni giorno. Due gruppi frequenteranno ed uno seguirà tramite le piattaforme online.

Un altro liceo, questa volta di Albano Laziale, ha adottato una tattica diversa. Le prime due settimane si è deciso di dare la priorità ai primi che sono potuti entrare a scuola tutti i giorni mentre le altre classi attuavano una rotazione giornaliera. In seguito, ogni sezione ha potuto frequentare di persona tre volte alla settimana: tutta la classe è insieme, non c’è alcuna suddivisione in gruppi. In ogni caso, anche qui, si parla di alcuni cambiamenti che la presidenza sta studiando per le settimane a venire. Nell’istituto si sono registrati due casi: uno precedente al primo suono della campanella che non ha mai frequentato dal vivo e un ulteriore caso in presenza. Questo è stato rapidamente isolato. Si è, poi, proceduti con i tamponi per l’intera classe che è risultata negativa. Gli studenti frequentano le lezioni per una durata di 50 minuti e possono godere di qualche momento di ricreazione per andare al bagno, igienizzarsi le mani e mangiare ognuno alla propria postazione. Gli alunni sono obbligati ad indossare la mascherina per l’intero orario scolastico. Il liceo ha dotato ogni individuo di un banco singolo.

Scenari differenti da plesso a plesso. L’obiettivo è quello di garantire l’accesso all’istruzione per tutti, ma i problemi sono molti: dall’assenza di insegnanti agli assembramenti che si registrano all’uscita. Di particolare rilevanza il caso di alunni di alcuni istituti, anche ai Castelli Romani, che non svolgono la DAD quando la turnazione li costringe a casa. Comunque, secondo le voci di numerosi professori e professoresse, gli studenti stanno mantenendo un grado di attenzione piuttosto elevata. Precisazione che sembra contraddire la vulgata degli ultimi mesi che ha descritto le giovani generazioni come un manipolo di incoscienti. Certo, i ragazzi, soprattutto nella fascia di età adolescenziale, soffrono qualsiasi misura coercitiva e limitativa. C’è, quindi, bisogno di un esempio integerrimo da parte degli adulti oltre che di spiegazioni coerenti e chiare su quello che tutto il mondo sta vivendo.

Ariccia, Genzano, Rocca di Papa, Zagarolo e Anguillara Sabazia hanno il loro sindaco

Milano, Elezioni comunali il voto dei ciittadini

In concomitanza con il voto referendario, i cittadini dei comuni di Albano Laziale, Zagarolo, Ariccia, Genzano di Roma, Rocca di Papa e Anguillara Sabazia, sono stati chiamati alle urne per eleggere il loro primo cittadino senza esito al primo turno. Le modalità sono note: un maggioritario con la possibilità di un ballottaggio qualora nessun candidato raggiunga il 50% più uno dei voti. Il 4 ottobre 67 comuni e 9 capoluoghi sono, così, tornati a votare per scegliere, tramite il ballottaggio, il loro primo cittadino. Tra questi anche Ariccia, Genzano di Roma, Rocca di Papa e Zagarolo. 

ARICCIA

Una sfida elettorale che ha visto opporsi Gianluca Staccoli ed Emilio Cianfanelli. Il primo, candidato del centrodestra, ha ottenuto, inizialmente, circa il 39% delle preferenze, seguito dal candidato sostenuto dalla sinistra e da due liste civiche al 20%. Cianfanelli puntava al suo quinto mandato come sindaco di Ariccia, dopo aver ricoperto la carica per la prima volta nel 1993 e riconfermato nel 1997, per poi essere rieletto anche nel 2006 e nel 2011. L’esito che attendeva i cittadini di Ariccia non era così scontato: il centrosinistra si è presentato diviso con Emilio Tomasi sostenuto dal PD e da due civiche raggiungendo il 16.28 dei consensi. Importanti i risultati di Enrico Indiati e di Giorgia La Leggia, sorretti da liste civiche, che hanno raggiunto rispettivamente il 13,39% e il 7.8%. Non all’altezza delle aspettative il risultato del Movimento 5 Stelle che si è fermato al solo 3,45% dei consensi riportati dal candidato Emanuele Imperioli. Il secondo voto, del 4 ottobre, ha visto Staccoli vincere con il 59,50 per cento sul suo competitor Cianfanelli che ha conquistato il 40,5 delle preferenze. Ora, il neo sindaco si insedierà dopo al posto del compianto Roberto Di Felice, eletto nel 2016 e venuto a mancare all’età di 61 anni lo scorso febbraio. L’affluenza della seconda tornata elettorale è scemata dal 66,59% al 49,76%. Staccoli è un imprenditore piuttosto conosciuto ai Castelli Romani e in questi 5 anni dovrà cercare di realizzare il suo programma che mira  alla riqualificazione del territorio tramite la valorizzazione del patrimonio culturale e una nuova gestione della viabilità e del decoro urbano. Per quanto riguarda l’ambiente, Staccoli punta ad un piano di riqualificazione energetica e ad un incremento delle aree verdi, oltre a piani di sviluppo sul fronte lavorativo a favore delle aziende.

Staccoli

GENZANO DI ROMA

Dopo i dissidi interni al Movimento 5 Stelle che hanno portato alla sfiducia del giovane sindaco Daniele Lorenzon, Genzano di Roma torna alle urne che non hanno registrato, però, un vincitore al primo turno. Il candidato di centro sinistra Carlo Zoccolotti, sostenuto dal Pd e da altre 4 liste civiche, aveva ottenuto il 35,56% dei voti contro il candidato del centrodestra Piergiuseppe Rosatelli che si era fermato al 27,59% dei consensi. FDI e Lega hanno scelto il nome di Rosatelli quando già tutti davano per scontata la candidatura a primo cittadino di Michele Savini, consigliere uscente. Forte delle sue liste civiche centriste, Flavio Gabbarini aveva ottenuto il 15,86%, comunque non sufficiente per la sua rielezione a sindaco. Grande risultato per il Partito Comunista rappresentato da Roberto Borri (4,10%), al contrario del Movimento 5 Stelle che ha pagato l’esito della passata amministrazione, attestandosi al 5,89%. Il ballottaggio ha sancito la vittoria di Carlo Zoccolotti che ha ringraziato i suoi sostenitori tramite un messaggio rilasciato su Facebook. Un 57,33 per cento per Zoccolotti che relega al 42,67 per cento il candidato di centrodestra Rosatelli. Nel programma elettorale, Zoccoletti ha posto particolare attenzione ai temi ambientali e dello sviluppo sostenibile. Tanto che durante il suo comizio di chiusura della campagna elettorale aveva sottolineato di voler investire in “strade, marciapiedi ed illuminazione. Non a caso abbiamo iniziato la nostra campagna elettorale partendo dalla stazione di San Gennaro che vogliamo riqualificare”.

Zoccolotti

ROCCA DI PAPA

La reggente Veronica Cimino, che ha guidato il comune dopo la morte del Sindaco Emanuele Crestini, ha ottenuto il 27,46% dei voti garantendosi una buona posizione per il ballottaggio, dove si è scontrata con il candidato del centrodestra Massimiliano Calcagni, anche lui, forte del 35,85% dei consensi. Dietro di loro, la civica Elisa Pucci che ottiene il 19,34%, il candidato di centrosinistra Andrea Croce con il 19,03%, Marco D’Antoni del Movimento 5 Stelle fermo al 4,8% dei voti ed Enrico Fondi con 4,14%. Il ballottaggio del 4 ottobre ha deciso per la continuità: Veronica Cimino è il nuovo sindaco. La candidata ha ottenuto il 51,84%, superando Massimiliano Calcagni, avversario di centrodestra e rimasto al 48,16. Scarto minimo: intorno a 200 voti. L’affluenza alle urne ha registrato un calo vistoso: dal 47,13% al 35,08%. Il peggiore della Regione Lazio. La Cimino, che nella sua vita si è occupata di ristrutturazioni, non vede alla politica come ad una professione. Il suo programma pone al centro del progetto quinquennale i giovani che devono essere maggiormente coinvolti. Particolare attenzione sarà rivolta al rilancio del turismo e al rinnovamento dell’intera macchina amministrativa comunale.

Cimino

ZAGAROLO

Anche Zagarolo ha dovuto attendere la prima settimana di ottobre per conoscere il suo nuovo sindaco. La cittadina a guida progressista da un quarto di secolo aveva espresso il suo parere nella prima tornata elettorale: Emanuela Panzironi, vicesindaco in carica, aveva ottenuto il 49,20% distanziandosi di molto dal suo competitor Marco Bonini che si era fermato al 25,24%. Dietro di loro Giovanni Luciani con il 14,12%, Giacomo Vernini con il 7,43% e Marco Riccardi con il 4,01%. L’esito del ballottaggio del 4 ottobre è stato netto ed ha portato all’affermazione di Emanuela Panzironi, con oltre il 60% dei consensi contro lo sfidante in quota centrodestra, Marco Bonini.

Panzironi

ANGUILLARA SABAZIA

Una sfida piuttosto combattuto aveva costretto il comune a dirigersi verso il ballottaggio. Alle elezioni di fine settembre, Anguillara Sabazia è arrivata dopo diverse vicissitudini nella giunta targata Movimento Cinque Stelle. L’ex sindaco, Sabrina Anselmo, era caduta nel febbraio scorso dopo la fuoriuscita di nove consiglieri comunali, in massa. Brutta figura che ha portato il Movimento a non ripresentarsi alle elezioni che, in un primo momento, avevano attestato tutti i contendenti su percentuali simili: Pizzigallo, sostenuto dall’intero centrodestra, aveva raggiunto il 35% di preferenze, superando di cinque punti l’avversario del Partito Democratico Cardone, arrivato al 29,8%. Mentre il terzo classificato, Francesco Falconi, sostenuto dalla propria lista civica aveva ottenuto il 22,6%. Le urne del 4 ottobre hanno portato sullo scranno più alto del comune, Pizzigallo, avvocato e già funzionario amministrativo nella Regione Lazio.

Pizzigallo

C’è chi esce sconfitto, ma veri vincitori non ce ne sono

Luigi Di Maio (mmagine presa dal web)
Luigi Di Maio (immagine dal web)

Il pareggio, 3-3, alle elezioni regionali e il trionfo del Sì al referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Una domenica e un lunedì di elezioni che lasciano sul campo di battaglia vincitori e vinti, stavolta non così facilmente distinguibili. Partiamo dal taglio dei parlamentari. Una legge di riforma costituzionale che mirava a modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione era stata approvata quattro volte in Parlamento, due alla Camera e due al Senato. Un gruppo, piuttosto sparuto, di senatori (71) hanno raccolto le firme necessarie ad indire un referendum confermativo, per il quale non è previsto nessun quorum di validazione. Il 70% degli italiani, con le solite differenziazioni tra centro (per il No) e periferia (per il Sì), hanno deciso di approvare la “sforbiciata”, per alcuni dal carattere anticasta. Il 22 settembre, il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge che non si applicherà, comunque, prima di 60 giorni. Il Parlamento, solo dalla prossima legislatura, avrà un numero di eletti inferiore: 400 alla Camera (non più 600) e 200 al Senato (non più 315). Il risparmio interno al bilancio dei Palazzi rappresentativi sarà all’incirca del 7%. Non si è registrata, quindi, la tanto vaticinata rimonta del No che ha visto sorgere in questi giorni diversi comitati che hanno avuto largo spazio sulla stampa nazionale la quale, coram populo, ha cercato di spingere gli elettori verso il niet. Bersani ha parlato di “No sinceri e No insinceri”: alcuni speravamo di dare la spallata all’esecutivo che, invece, esce dalle urne potenziato. Diversi sostenitori del No si soffermano su un’affluenza piuttosto bassa: il 53,8% degli aventi diritto. Percentuale equipollente al referendum della devoluzione berlusconiana del 2006 e inferiore al referendum sulla riforma Renzi-Boschi del 2016 quando, però, il voto era stato legato esplicitamente alle sorti politiche dell’attuale senatore di Rignano e leader di Italia Viva, Matteo Renzi. In ogni caso, l’affluenza è stata dell’80% in Molise, del 78% in Campania, del 76% in Calabria, del 75% in Sicilia, del 60% in Friuli e del 66% nel Lazio e in Toscana. Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio questo è “un risultato storico, torniamo ad avere un parlamento normale. La politica dà un segnale ai cittadini. Adesso ci batteremo -continua Di Maio- per il taglio degli stipendi dei parlamentari”. Esulta anche Nicola Zingaretti che vede nella vittoria del SI l’inizio di una “nuova stagione di riforme. Il Pd si farà garante delle posizioni del No”. Il nodo da sciogliere è proprio quello relativo alle necessarie riforme correttive. Se l’Italia passa da 1,6 ad 1 eletto ogni 100.000 abitanti (rimanendo al primo posto rispetto allo 0,8 della Spagna e allo 0,9 della Germania), è chiaro che ora le Camere dovranno approvare nuovi regolamenti per garantire la funzionalità dei lavori nelle commissioni e soglie di voto adeguate. Con ogni probabilità anche i 18enni potranno votare i senatori: la legge di riforma costituzionale è passata in prima lettura e potrebbe entrare in vigore entro l’anno. Di particolare rilevanza, le misure presentate da Federico Fornaro di Leu: il superamento della base regionale del Senato e la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato. Partita fondamentale sarà, poi, quella che si giocherà sulla legge elettorale ridenominata Brescellum: un proporzionale puro con soglia di sbarramento al 5% che già ha superato il vaglio della Commissione alla Camera. Il Movimento 5 Stelle si è intestato la vittoria del referendum dato che sono stati in molti a tirarsi indietro, sostenendo il No dopo aver votato per il SÌ in Parlamento. Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega parlano da posizioni opposte che celano anche una diversità di vedute non secondarie nel centrodestra che vede la leadership di Salvini incrinarsi pian piano. Il segretario del Carroccio afferma: “Siamo stati sempre per il SÌ, non chiedo nuove elezioni”. Per Giorgia Meloni, invece, il Parlamento esce delegittimato perciò si dovrebbe tornare subito alle urne. Chi ancora non ha fatto sentire la propria voce è stato Mattia Santori, promotore del Movimento delle Sardine. Santori che era “fuggito” dalla manifestazione del Comitato per il No a Roma che non aveva ottenuto il seguito sperato, con una piazza semi-vuota e non per il Coronavirus. Le elezioni regionali segnano un pareggio a cui pochi credevano. I pronostici dei media davano la vittoria della destra con un 4 a 2 o un 5 a 1. Addirittura, c’è chi paventava un secco 6 a 0. Nulla di questo è accaduto. In Puglia, il candidato del Pd Michele Emiliano batte con un 46% il candidato del centrodestra Raffaele Fitto che si ferma al 39%. Laricchia del M5S tradisce le aspettative attestandosi all’11% mentre Scalfarotto, sostenuto da Italia Viva e Avanti, ottiene un 2%. Un voto che crea qualche sofferenza nel centrodestra con Matteo Salvini che parla per il futuro di “candidati più innovativi”. La sinistra tiene anche in Toscana, altro feudo rosso, che la candidata leghista Ceccardi (41%) non riesce ad espugnare al candidato Giani (48%). Appare evidente come in queste in Toscana gli elettori grillini abbiano optato per il voto disgiunto mentre in Puglia abbiano deciso di sostenere Emiliano. Un dato politico che deve indurre i vertici del Movimento e del Partito Democratico a meditare alleanze locali ben strutturate e costruite nel tempo, magari amalgamando i programmi. La pensa così Luigi Di Maio che avrebbe “organizzato il tutto in maniera diversa”. L’unico candidato unitario che si può definire giallorosso, Ferruccio Sansa, ex giornalista de Il fatto Quotidiano, ha perso contro il governatore uscente Giovanni Toti (56%) in Liguria. Sansa ha sofferto di un’impasse tra PD e 5Stelle che si è sbloccato solo poche settimane prima del 20 settembre, quando Toti era già partito con la sua campagna elettorale. In Campania, De Luca si conferma Presidente della Regione con un 67%, staccando di molto il 19% raccattato da Caldoro del centrodestra. Lo “sceriffo” ha goduto di una comunicazione prepotente durante i mesi della pandemia oltre che del sostegno allargato a compagini locali che non si possono proprio definire di sinistra. La vittoria di Emiliano, De Luca e Giani cementa il Governo ma non si traduce in una vittoria per Nicola Zingaretti. Se il segretario del Pd ha sventato i tentativi di cambi al vertice del partito propugnati da Bonaccini e Gori, non può dormire sonni tranquilli dato che i candidati vincenti sono lontani dalla sua linea. Emiliano è da sempre in contrasto con la dirigenza del Nazareno, De Luca è un uomo solo al comando tanto che si era provato ad individuare un candidato diverso e Giani è un renziano di lungo corso. Anche Renzi esce con qualche livido dalle consultazioni: la sua creatura, Italia Viva, ha riportato percentuali da prefisso telefonico. Il centrodestra conquista dopo 25anni le Marche con Francesco Acquaroli (51%) che ha la meglio su Mangialardi. La Meloni è accorsa ad Ancona per festeggiare. In Veneto si è registrato un vero e proprio plebiscito in favore di Luca Zaia (76%) che si conferma governatore per la terza volta, dopo la riforma della legge che fissava a due i mandati presidenziali nel lontano 2012. Un risultato che fa tremare Salvini: la lista del Carroccio ha ottenuto il 14% contro il 47% della lista Zaia Presidente. Percentuali che in Veneto confermano l’esistenza di due anime: da una parte quella autonomista e dall’altra la vocazione nazionale. In casa giallorossa Conte e il Governo festeggiano ma rimane la tentazione di portare Zingaretti al Viminale o alla vicepresidenza del Consiglio. Insomma, questo o qualche altro rimpasto che vengono negati dai grillini: “Conte non vuole toccare nulla”, come ha assicurato lo stesso premier. In ogni caso, è aumentata la forza del Pd che si attesta come primo partito, tanto che il segretario Zingaretti preme per la modifica dei decreti sicurezza già a partire dal prossimo cdm. Una mezza vittoria quella dei grillini: l’esito referendario è tutto loro ma le regionali certificano la quasi irrilevanza del Movimento a livello locale. Di sicuro, la compagine che si stringe intorno a Di Maio esce più forte, scansando quella di Di Battista indebolito dalla battaglia contro il voto disgiunto che parla di “sconfitta epocale”. Per il movimento, ora, è tempo di Stati Generali per decidere sul proprio futuro: ci sono troppe voci discordanti che devono essere sintetizzate in un solo coro. Nel centrodestra qualcosa è morto e qualcosa si muove. Forza Italia non è pervenuta. Mentre Giorgia Meloni raccoglie tutti i voti in uscita dalla Lega, “siamo l’unico partito che cresce ovunque”, suggella la leader di Fratelli d’Italia. Non è piaciuta a Salvini la candidatura di Fitto in Puglia che reputa scontata e gerontocratica. Salvini che non riesce a nascondere l’insofferenza per la sconfitta in Toscana dove aveva preso casa proprio per sostenere la ultra-salviniana Ceccardi. D’altronde, Giani non era proprio imbattibile. Ma è soprattutto il referendum a scuotere le fila interne al centrodestra. Più di qualcuno si dice basito dalla scelta di non sostenere apertamente il SI.

La rabbia del preside Scialis e del corpo docenti

LICEO JAMES JOYCE
(immagine dal web)

Ad una settimana dalla riapertura, il liceo linguistico James Joyce di Ariccia, è costretto a tornare alla didattica a distanza. Questa volta, però, il Coronavirus non è il responsabile. Alla sede principale del liceo c’è carenza di acqua corrente. L’acqua non riesce ad arrivare a tutti i piani, causando un problema importante di igiene. Il preside Roberto Scialis non ha potuto che decidere la chiusura dei cancelli e l’uscita anticipata degli alunni. Una situazione complessa che, sicuramente, farà emergere rabbia e disapprovazione nel corpo docenti e nelle famiglie. Questa problematica va avanti da un paio di anni: periodicamente si assiste a cali di pressione dell’acqua che investe la struttura dal piano superiore fino al piano terra. “Dal periodo del lockdown -racconta il Preside Scialis- la condizione si è aggravata, ma gli studenti erano già a casa. In vista dell’apertura della scuola, ho contattato l’Acea, Ato2, Città Metropolitana Roma Capitale per predisporre l’inizio dei lavori prima della data di avvio delle lezioni in presenza. Non sono mai venuti per inserire le pompe per la pressione”. È dal 14 settembre che al Liceo Linguistico James Joyce manca l’acqua. Nonostante l’impegno del personal Ata, dei docenti e del dirigente scolastico per predisporre la struttura in linea con le indicazioni del CTS e del governo, gli studenti da lunedì dovranno riprendere le lezioni online. “Siamo pronti da questo punto di vista, -chiarisce Scialis- durante la fase più acuta dell’epidemia, abbiamo curato la Dad (didattica a distanza ndr)”. Ancora una volta sembra che la scuola sia il fanalino di coda degli interessi della politica. Quotidianamente, il preside ha mandato una mail informativa e di sollecitazione al prefetto, alla Città Metropolitana, all’Ufficio Scolastico Regionale, all’Acea e al Comune di Ariccia, senza mai ottenere una riga di risposta, malgrado le promesse inziali di risolvere il tutto in “tempi brevissimi”. Per comprendere sino in fondo cosa significa questo fatto e da quali decisioni politiche è stato causato basta ascoltare le parole di Fermina Tardiola, professoressa di Italiano al Joyce: “Il Coronavirus ha mostrato le difficoltà del sistema scuola che esistevano già prima. Ad esempio -continua la docente- le classi pollaio esistono ancora oggi. Il problema è strutturale ed affonda le radici nei tagli alla scuola, in una politica miope che non è stata mai attenta. Solo ora ci si è resi conto del ruolo sociale della scuola. L’assurdità è che il nostro liceo si è dotato di un sistema di Dad molto ben fatto ma il problema di questi giorni è la mancanza di acqua. Il preside -continua Tardiola- si è speso tanto e in anticipo per risolverlo, senza ottenere le dovute attenzioni. E stiamo parlando di un liceo che rappresenta un’eccellenza nella provincia di Roma. Questo mostra quanti nodi vengono al pettine. Chi oggi specula su queste problematiche sono gli stessi che hanno tagliato le risorse alla scuola da dieci anni a questa parte”.

La ripartenza delle scuole: tra strutture non idonee e personale non sufficiente

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Dal 2009 al 2017 l’istruzione ha perso 6 miliardi in valore nominale, lo 0,8% del Pil: circa 14 miliardi attuali. Basta questo dato per comprendere quanto sia complesso assicurare una scuola 3.0, anti-Covid, sicura e pronta per il nuovo anno. Il governo, nella persona della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, sta lavorando ventre a terra per assicurare una ripartenza idonea. I nodi da sciogliere rimangono ancora molti, nonostante l’aumento dell’organico di 50mila insegnanti. Il voto del 20 e 21 settembre obbligherà a sospendere immediatamente le lezioni, tanto che diverse Regioni hanno deciso di posticipare la data di apertura (Friuli, Abruzzo, Calabria, Puglia, Sardegna). Così come i Comuni di Albano Laziale, Velletri, Lariano, Colleferro che apriranno i cancelli il 24 settembre. La richiesta del Viminale ai Comuni di trovare spazi alternativi da rintracciare tramite una “rapida ricognizione” è rimasta sostanzialmente inevasa. Delle 54mila sezioni da allestire, solo 271 sono state spostate. Il nodo trasporti ha visto impegnata la ministra delle Infrastrutture De Micheli, la qualeè riuscita a trovare la quadra con le Regioni sulla capienza dell’80% per gli autobus, mentre il Comitato Tecnico Scientifico rimaneva inamovibile al 75%. Non c’è tempo per acquistare nuovi mezzi e per assumere nuovo personale. Dovrebbero bastare, invece, i 70 milioni stanziati per individuare e conformare gli spazi aggiuntivi per fare lezione fuori dalle tradizionali aule, anche se il dialogo con i plessi continua. Rimangono 150mila studenti da ricollocare. Un progresso, se si pensa che la situazione iniziale riguardava 1,2 milioni di alunni. Rimane da risolvere il problema delle supplenze: i posti sono circa 85mila e gli assunti solo 30mila.È ancora incognita sul tempo pieno che, forse, verrà sacrificato. Inoltre, nei giorni finali di agosto, molti insegnati si sono sottoposti volontariamente al test sierologico per il Covid. I dati raccontano di una percentuale del 30% piuttosto reticente. Secondo il Presidente dei Presidi del Lazio, Mario Rusconi: “Bisognava rendere questa procedura obbligatoria”. Nelle ultime settimane, i rappresentanti dei dirigenti scolastici hanno fatto un appello per una revisione della responsabilità penale in relazione alla sicurezza sugli ambienti di lavoro. Si evince dal protocollo redatto dal CTS che il Dirigente Scolastico è tenuto a informare tramite un’apposita comunicazione sulle regole fondamentali di igiene. Mentre, sarà cura del personale informare il DS di casi influenzali sospetti. Fermo restando che in ogni plesso sarà presente il cosiddetto referente Covid. Un punto sensibile che è stato chiarito da una nota del Miur: la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge. Perciò l’adozione delle normative è idonea a rappresentare quali assolti gli obblighi del dirigente.

Pietro Volpones, Dirigente Scolastico I.c. Albano-Cecchina

Come si sta preparando il suo istituto per l’apertura?
Veramente non abbiamo mai chiuso e qualcuno ha continuato a lavorare pur essendo in ferie: il 24 (a seguito dell’ordinanza del sindaco di Albano Laziale) ripartiamo con le attività didattiche in presenza e con l’avvio in itinere delle attività di recupero. In questa fase siamo impegnati ad organizzare i plessi secondo le indicazioni del Ministero dell’Istruzione e del CTS, mettendo in sicurezza le aule e gli uffici, nella consapevolezza che il rischio zero non esiste, ma con la certezza che stiamo facendo il meglio per quanto ci è possibile.

Quali difficoltà avete incontrato?
Le difficoltà sono soprattutto logistiche, dovute in particolare alle caratteristiche dei plessi: la sede centrale e quella della primaria sono ospitate in edifici decisamente “vecchi” e creare percorsi in sicurezza si è rivelato problematico. Va poi aggiunto che, date le diverse fasce d’età degli alunni, non è facile gestire la segnaletica e l’organizzazione delle aule. Devo però dire che il continuo confronto con l’ente locale è stato molto positivo e ci ha consentito tra l’altro di individuare un plesso aggiuntivo nel quale collocare cinque classi, migliorando la gestione degli spazi nella scuoia primaria. Tuttavia, una parte significativa del lavoro verrà messa in discussione dall’utilizzo del plesso della sede centrale come sede di seggio per le prossime tornate elettorali: non sono sicuro dopo le votazioni di ritrovare le aule come le abbiamo organizzate distanziando i banchi al millimetro e se ci sarà il ballottaggio il problema si presenterà una seconda volta.

A suo avviso bisogna cominciare ad investire di più sulla scuola?
La risposta è scontata: sì. L’emergenza Covid ha dimostrato, non che ce ne fosse bisogno, che negli ultimi quarant’anni nella scuola si è investito poco e male, gestendo le risorse sempre più esigue in modo assolutamente irrazionale e senza che i decisori politici assumessero responsabilmente una prospettiva di lungo periodo. Prova ne sia che, al netto di presunte riforme più o meno abortite, la scuola italiana conserva un impianto ancora gentiliano.

Eugenio Dibennardo, Dirigente Scolastico istituto Cesare Battisti Velletri

Come si sta preparando il suo plesso per la ripartenza?
Stiamo predisponendo tutto seconde le norme: distanziamento, entrate ed uscite diversificate, dispenser per igienizzare le mani, disposizione dei collaboratori scolastici e dei tecnici di laboratorio per garantire la pulizia degli ambienti. Noi abbiamo circa 2mila metri quadrati di laboratorio.

Quali sono le difficoltà principali che avete incontrato?
Una è stata quella di predisporre gli ambienti che possono ospitare più di 23 alunni. Le aule normali hanno dai 40 ai 50 metri quadrati. Se consideriamo due metri quadrati per alunno più i dieci destinati allo spazio del docente, arriviamo a 60 metri quadrati per un’aula di 25 alunni. Noi abbiamo chiesto alla Città Metropolitana, la proprietaria dei locali, di abbattere delle pareti al fine di allargare gli spazi. Sembra che pian piano stiamo ottenendo questo risultato. Inoltre, bisognerà predisporre un sistema di rotazione delle classi sulle aule grandi e sui laboratori. Il problema è che ogni volta bisogna igienizzare. C’è bisogno di più collaboratori scolastici. Molti di loro, come molti professori, non possono tornare a lavorare perché magari hanno delle malattie pregresse che possono esporli a rischi gravi in caso di contagio.

È il momento di investire di più sulla scuola?
Gli investimenti, ora, da parte dello Stato ci sono. Noi abbiamo ricevuto fondi non irrisori. Adesso, bisogna rivedere le strutture che, come ho spiegato, non sono idonee.

Eugenio Di Bennardo
Pietro Volpones

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