copertina Cara mamma, caro papà ....

“L’amore è apprezzare i petali caduti di un fiore” Anche quando il tempo sembra sgretolare i sentimenti nella turbina di un vortice senza fondo, la memoria riaffiora sempre con tutta la sua forza. Ecco che la nostra Autrice trova il coraggio, dopo tanti anni, di riaprire una scatola di ricordi ormai dimenticati, per rendere omaggio a chi, come tanti, hanno subito una damnatio memoriae e meritano una dovuta resurrezione. Un evidente intento di risarcimento per un ragazzo nel fiore degli anni che non fa in tempo a diventare uomo e farlo accomodare sul trono dei “Più”, con la convinzione, che, anche se raccontata a posteriori, la sua vicenda sia stata assolutamente straordinaria.

Nasce così una biografia documentatissima con manoscritti, lettere, fotografie, immagini private, appunti, corrispondenze, testimonianze per raccontare, a rilascio lento il peso romanzesco di una vita breve. Vent’anni appena, tanto è il tempo trascorso su questa terra dal protagonista di questa storia: Luigi Giansanti, un giovane soldato che ha perso la vita, come tanti suoi commilitoni, sul fronte greco-albanese nel 1940. Una vita, la sua, apparentemente semplice, in un ambiente familiare povero ma ricco di affetti sinceri, dove il tempo sembra trascorrere in un armonioso tram tram, fino a che tutto cambia. Luigi è chiamato alla leva ed è contento e orgoglioso, da buon figlio della lupa, di servire la patria. Non sa che non tornerà mai più. Scoppia la seconda guerra mondiale e l’artigliere Giansanti parte per il fronte, assegnato al reggimento Artiglieria- Divisione Ferrara 2 di stanza in Albania con il compito di difendere i confini stabiliti dalla precedente occupazione voluta da Benito Mussolini. Inizia così la sua vita da combattente, ma nelle sue missive appare sempre sereno, affettuoso, preoccupato più delle sorti dei suoi che non delle sue, per non creare ansia e paura, tanto che la notizia della sua morte è, per la famiglia Giansanti, un fulmine a ciel sereno.

Rita Gatta

“Muor giovane chi agli dei è caro” afferma Menandro, e Luigino doveva essere molto amato dagli dei. A volte l’universo ascolta le preghiere sussurrate e dal dolore nasce la speranza. Un sentimento capace di spezzare il cuore, ma anche di ricucirlo e Rita Gatta, dando la dovuta importanza a quei ricordi, autentiche cattedrali dell’interiorità, con la dolcezza dei particolari, la sottile descrizione delle emozioni e la trasparenza delle sue parole, è riuscita a suscitare forze gravitazionali di grande empatia.                              

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“Voglio sempre voglio fortissimamente voglio”.  Una frase celebre che non sta a indicare soltanto un desiderio di appartenenza o di possesso maniacale, è soprattutto l’imprinting che dà lo “slancio vitale” a tutti coloro che, come Barbara Melli, inseguono e perseguono i propri sogni. << Non bisogna aver paura di sognare –dice Papa Francesco- i sogni sono importanti, tengono il nostro sguardo largo>> e ti fanno vedere lontano, dove tutto sembra irraggiungibile, utopico e fondamentalmente assurdo.

Ma non per Barbara Melli che, con “indomito entusiasmo” tenacia e perseveranza, da anni ormai ha intrapreso il “vero viaggio” quello che le ha fatto osare l’inosabile con temerarietà e audacia, senza mai perdere l’obbiettivo e la speranza.

Credo che sia questo lato del suo carattere che l’ha avvicinata alle “Indomite viaggiatrici” magicamente riprodotte nelle sue guash. Pioniere, donne d’antan, esploratrici capaci di intraprendere avventure sovrumane tra ascese celesti e discese infernali, affrontando mille pericoli perché i luoghi, le persone, gli eventi, gli incontri sono la fonte continua di un racconto ininterrotto.

Foto Maria Cristina Pellandra
Maria Cristina Pellandra

     Le filastrocche semi serie di Maria Cristina Pellandra

Una signora d’antan, dai modi raffinati, sempre discreta e cordiale con tutti, originaria della Repubblica di San Marino, trapiantata a Roma, trascorre con la sua famiglia la stagione estiva sulla spiaggia dorata di Lavinio (Anzio) dove ci siamo conosciute.

Un’affinità elettiva unica e rara che ci ha spinto a farci confidenze anche intime. Così, parlando del più e del meno, ho scoperto che condividiamo lo stesso hobby, o per meglio dire, lo stesso amore per la scrittura, io con i miei studi sull’Arte e lei con la Poesia.

È trascorso un pò di tempo ma la sua pubblicazione resta fresca e fragrante come una rosa, visto che emana profumi ed aromi d’ogni tipo. Già il titolo la dice lunga:”La vita è poesia”  “prendiamola per le rime e per la gola”.

Un’originalissima e strana combinazione di filastrocche semi serie e di ricette succulente che appassiona il lettore e tiene su il morale, perché anche laddove l’argomento è serio, la finale è sempre aperta alla speranza e all’ottimismo. Le tematiche sono le più svariate, si va dalle reminiscenze, alle fiabe, dai tramonti infuocati ai voli di fantasia, dai problemi più strettamente etici come la giustizia, la felicità, l’onestà, la tolleranza, all’educazione sessuale. Il tutto accompagnato da “sughi velocissimi” “Tortiere di patate con funghi” “crocchette di baccalà” “Melanzane in porchetta” e via dicendo.

40 pagine fittissime che attirano l’attenzione del lettore letteralmente inchiodato al libro fino alla fine. Prezioso e volutamente leggiadro il ritmo delle poesie e  lo sciorinare delle filastrocche, laddove in ognuna si nascondono significati profondi, parabole, metafore e consigli da recepire come consigli di vita. Gli stessi che nonni e neo-mamme possono dare leggendo ai loro bimbi la fiaba della “mosca e della farfalla” mentre cucinano una gustosa “Torta all’ananas”.

In particolare i temi ruotano intorno ai sentimenti, anche quelli che non si possono esprimere, come lei stessa dice:

                              “Le cose non dette”

Parole che in aria rimangono appese,

le senti volare con ali distese

leggere, impalpabili, o cappe di piombo

ti rendono serena, oppure cade il mondo.

Parole che vagan, lontane, senza confine,

eppure all’anima senti vicine.

Chissà dove andranno le cose mai dette?

In fondo a crateri o sopra le vette

più alte e, ancor più su, in alto nel cielo,

com’angeli bianchi, avvolte da un velo,

lor solo evidenziano i grandi valori,

rispettan l’amore, le gioie, i dolori.

Aurelio Picca copy

Una mente complessa e brillante, Aurelio Picca è un alieno supersonico, brutto e malvagio, anzi bello e generoso perché sa regalarci momenti di intenso pathos. Senza dubbio una personalità affascinante fuori dalle righe, saggista e romanziere prolifico, profondo, ricco di neologismi, ama giocare sull’ambiguità e la forza evocativa della parola che è la voce dell’anima. Aurelio è senza tempo perché lui il tempo lo attraversa, raccontandoci la sua metamorfosi non ascrivibile a correnti di sorta, scavando solo sugli istinti da cui si lascia trasportare, volutamente, contraddittori tanto da farne uno stile di vita nella gestualità della forma. Ecco che affiora la sua doppia anima, dispotica e liberale in una sorta di complicità, perennemente in conflitto e in competizione tra il suo mondo e il fuori di se che non riesce più ad accettare. Un mondo marcio, fatto di ferocia o peggio ancora di indifferenza. Roma è nata sulla ferocia: Romolo uccide Remo, Tullo Ostilio distrugge Albalonga, Cesare fa sterminio di popoli e genti innocenti, Nerone incendia Roma per liberarsi dei cristiani. Eppure proprio la ferocia diventa il propulsore indispensabile alla nascita dell’Urbe caput mundi, perché la ferocia è la forma più alta della sopravvivenza << mors tua vita mea>> <<Homo homini lupus>>. Ora che si è pacificata regna solo l’indifferenza, l’ignavia, il cinismo da cu scaturisce un profondo disprezzo che genera solo morte. Solo il disprezzo può deviare il destino e abbracciare una sorta di pietas talmente generosa da essere pagana come se Iside e Maria si fondessero in un’unica cristologia.

Attraverso i due personaggi del romanzo, Aurelio fa i conti con se stesso e nel paradosso scaturisce il dolore che nasce da un’innocenza e diventa violenza nello scorrere della storia di un’amicizia che diventa una storia di vita.

Dal pubblico la sera affollatissima della presentazione del suo ultimo romanzo dal titolo: “Il più grande criminale di Roma è stato amico mio”, nella suggestiva cornice del Chiostro  del Convento del Carmine, una signora appella l’Autore definendolo “pudico”. Lui non ci sta e neanche io. Tutto si può dire di Picca tranne che sia un pudico, anzi esattamente il contrario.

Pudico certamente no, ma enigmatico si, lasciatemelo dire, almeno per me che ogni volta che mi avvicino ad un suo romanzo, e ormai non si contano, non ci dormo la notte presa da stati d’ansia e la paura fondatissima di non riuscire ad entrare nel cuore della narrazione.

La Sala delle Armi di Palazzo Ruspoli a Nemi, di solito piuttosto dimessa, ha ritrovato una nuova giovinezza grazie ad un magistrale allestimento con eleganti pannelli espositivi, luci soffuse e una quadreria suggestiva. Tutta opera di una docente dell’Accademia di Belle Arti con sede distaccata a Velletri, diretta dal prof. Marco Nocca. Onore e gloria dunque alla coraggiosa e intrepida iniziativa della prof.ssa Federica Dal Forno, insegnante di anatomia artistica, naturalmente supportata da un’equipe di colleghi altrettanto volenterosi ( cosa affatto scontata e lo dico per esperienza) che ha portato avanti un progetto didattico con il coinvolgimento diretto delle sue allieve su un tema piuttosto impegnativo dal titolo “Ombre dal bosco sacro”. Un’interpretazione ambiziosa, multidisciplinare e complessa di quella realtà ancora misteriosa che è il Bosco di Nemi con tutti i miti e le leggende legate al culto di Diana Aricina e al Rex Nemorensis. Un luogo magico narrato ed illustrato fin dai tempi più antichi da storici come Anneo Seneca, poeti, scrittori e viaggiatori come W. Goethe e innumerevoli intere carovane di pittori che l’hanno ritratto in lungo e in largo. Non era dunque affatto facile creare qualcosa di nuovo e originale, le allieve hanno dovuto studiare molto ed impegnarsi in ambiti esecutivi i più disparati, dall’inchiostro di china su carta di Costantina Antonino, la veterana del corso, all’olio su cartone di Anna Margarita, all’inchiostro su carta telata e via dicendo. Una mostra bella e interessante che purtroppo ha dovuto chiudere i battenti sul nascere, a causa del Covid 19, ma che ha potuto riaprire in tempi recenti con grande gioia dei partecipanti. Per chi volesse saperne di più, può consultare i Catalogo sul sito dell’Accademia.

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NonSoloRosa taglia il traguardo del suo primo anniversario importante.
Sono passati dieci lunghi anni, eppure sono volati. Ma qual è il segreto, l’elisir di giovinezza che fa diventare sempre più bella, interessante, accattivante la nostra amata rivista? Forse le rubriche, l’iconografia, l’impaginazione, la scelta delle tematiche trattate, o forse la tenacia e la costanza della nostra editrice Ottavia Lavino che ha fatto di quel famoso detto alfieriano “Volli, volli, fortissimamente volli” il suo motto e la sua filosofia di vita. Negli anni ha affrontato mille difficoltà, in tempi di crisi editoriale, quando molti hanno dovuto arrendersi e chiudere i battenti. Lei No, anzi ha sempre rilanciato con nuove idee, offerte formative, rubriche interessanti le più varie e vaste, coprendo tematiche di ampio spessore culturale, alternati a momenti di leggerezza e di vanità femminile.
Il tutto potendo contare solo sulla pubblicità come unico provento e sostegno ad un’ opera completamente gratuita al servizio dei cittadini dei Castelli Romani che la seguono con stima e affetto.
Per quel che mi riguarda, mi sono sempre occupata di Arte a vario titolo, ma soprattutto ho cercato di dare coraggio, sprone e sostegno a chi lotta per non demordere, anche quando, come ora, siamo tutti sospesi nel limbo con la paura di non vedere un domani.
E sul più bello, anzi brutto, quando mi crogiolavo in un letargo mentale al limite dell’ebetismo, arriva la telefonata della boss: << dai Barbara, scrivi che la Rivista la facciamo uscire on line!!>>
Ecco, questa è Ottavia Lavino, una forza della natura.

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