“Once i was …oltre la storia di Tim e Jeff Buckley”, una storia che lascia graffi sull’anima

Ottavia Lavino27 Novembre 2021
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Francesco Meoni

Francesco Meoni, attore teatrale  e doppiatore,  romano di nascita, debutta il 14 dicembre con il suo spettacolo “Once I Was” al teatro Due a Roma.

Ci siamo incontrati pochi giorni fa  in un bel localino della capitale, e mentre ci gustavamo uno spritz, mi ha raccontato di sè, della sua passione per il teatro e, con visibile emozione, dello spettacolo che sta per andare in scena e che lo vede protagonista.

È piacevole stare ad ascoltarlo, ha una bella voce e un fare gentile e accattivante, sono sicura che non deluderà le aspettative di quanti andranno a vederlo recitare. Io ho già preso il biglietto.

Il 14 dicembre debutterà a Roma, al teatro Due, il tuo spettacolo “Once I Was” Oltre la storia di Tom e Jeff Buckley. Ci parli di questo spettacolo?

È una storia che lascia graffi sull’anima,  cosi come una puntina rovinata solca sgraziatamente  il vinile della loro musica . “Once i was …oltre la storia di Tim e Jeff Buckley”, parte dalla storia di questi due musicisti americani vissuti tra gli anni 60 e 90. Sono un padre e un figlio, che condivideranno poco tempo insieme e un  tragico destino.  Lo spettacolo indaga soprattutto il mancato rapporto padre-figlio e lo fa attraverso la storia quasi alternata delle loro vicissitudini personali e delle carriere lungo un binario che raramente si incrocerà. Solo un “oltre”, un “altrove” ci lascia immaginare una possibilità. Sarà Tim a raccontarci anche di Jeff. La loro musica nello spettacolo, grazie ai musicisti, è un elemento assolutamente integrato a formare un linguaggio unico. Non si tratta di una mera riproposizione delle  cover dei Buckley, ma  di una confluenza ininterrotta di note,  parole,  sentimenti ed emozioni.  Le canzoni scaturiscono sempre dalla necessità di dire, dall’urgenza di spiegare, dalla solitudine o dall’ incomprensione. Sono la trama emotiva di un unico disegno. Un disegno che è solo apparentemente incompiuto.

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Perchè hai deciso di portare in scena questa storia?

Perché è una storia che come una sirena continua ad ammaliarmi, perché vorrei che non  fossero mai dimenticati questo padre e questo figlio, non solo come musicisti,  ma come “esseri umani” . Dopo il lockdown avevo il bisogno fisico di nuovo del contatto, di una fruizione diretta delle emozioni e non passivamente davanti ad uno schermo, e  forse perché sono affascinato dalla capacità catartica di questo spettacolo .

Questo spettacolo debutta la prima volta nel 2014, ora ritorna in scena seppur in un momento molto difficile per il teatro. Uno spettacolo completamente autoprodotto, con tutte le difficoltà del caso.  Cosa vuoi dire ai nostri lettori per invitarli a vedere il tuo spettacolo?

 Si, non è per niente facile, ma le sfide mi piacciono e mi aiutano a vincere la paura. Certo non è facile produrre da soli uno spettacolo con tante persone, ma sono sicuro che il pubblico ci aiuterà e anche gli amici che vorranno farsi protagonisti insieme a noi, per questo per la prima volta abbiamo attivato una piattaforma di crowfounding. Cosa vorrei dire per invitarli? Che intanto il teatro come espressione di socialità resta un rito magnifico, che nasce da una decisione e non dalla fruizione di qualcosa che viene acceso mentre si prepara la cena e si vede perchè si è a casa, no,  il teatro ti chiede  tempo per prepararsi, tempo  per prendere l’auto,  tempo  per trovare  parcheggio,  tutti atti che  rappresentano una scelta. Ecco, invito i nostri amici lettori a farsi portabandiera di scelte. Credo inoltre che questo spettacolo parli di noi,  in modo autentico, profondo delle nostre assenze,  delle cose non dette, dei rimpianti, delle nostalgie, di ciò  che avremmo potuto o voluto fare e non ne abbiamo avuto il tempo o il modo, insomma, un album fotografico dove ognuno degli spettatori trova il modo di identificarsi e aprirsi ad un ascolto  che passa si attraverso le orecchie, ma che si fa più profondo perché parla a ciò che  di più  tenero e nascosto abbiamo dentro di noi. Le lacrime che sul palco ci propongono i Buckley sono le lacrime di tutti noi, una sorta di terapia collettiva che emoziona e consola. Tornando a casa credo che si aggiunga un pò di bellezza, un po di tenerezza  alla propria vita  dopo questo spettacolo, almeno lo spero. Voglio ringraziare tutti i magnifici ragazzi che hanno contribuito con il loro lavoro  alla messa in scena dello spettacolo. Senza di loro non ce l’avrei mai fatta.

I tuoi progetti per il futuro?

Riprenderò la tournee interrotta a fabbraio del 2020 del “Don Chisciotte”, con Alessio Boni e saremo a Roma a marzo al teatro ” Ambra Jovinelli”, poi vorrei scrivere qualcos’ altro sempre inerente alla musica. Il format del concerto e il teatro insieme mi è piaciuto,  mi piacerebbe  trovare un‘altra storia da raccontare, altre emozioni da veicolare,  altre occasioni per condividere questo luogo magnifico e suggestivo che è il teatro.

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